Enews 396, domenica 13 settembre 2015

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In questa E-News sottolineo soprattutto tre grandi questioni:
1. La situazione economica
2. L’immigrazione
3. Le riforme

Punto 1. C’è un’altra Italia. E non è più il problema del mondo
L’Italia ha finalmente svoltato. Non siamo più il problema economico dell’Europa, non siamo più la minaccia finanziaria del mondo. E dopo anni di segno meno crescono tutti gli indicatori. �È davvero un periodaccio per i nostri amici gufi abituati a roboanti comunicati stampa dopo ogni dato Istat e oggi comprensibilmente sono più sobri nelle loro dichiarazioni. Cresce il Pil e siamo felicemente costretti a rivederlo al rialzo. Crescono i consumi e sono felice che gli studi della Banca d’Italia e della Bocconi dimostrino che gli 80 euro non solo siano stati una misura di giustizia sociale ma abbiano anche funzionato. Cresce il turismo, a doppia cifra specie al sud. Cresce l’export (e non è solo una questione di dollaro forte: in USA l’export italiano cresce del doppio della crescita dei Paesi dell’eurozona). Crescono soprattutto gli occupati: cresce il numero di quelli che lavorano, ma cresce anche il numero di chi ha un lavoro stabile, segno che il JobsAct ha dato qualche diritto in più, altro che precarizzazione. Cresce la produzione industriale, crescono le aspettative degli industriali, crescono i mutui, i pagamenti con bancomat e carte di credito, gli incassi che vengono dall’evasione, bene. Si può fare sempre di più e siamo qui per questo, ma ciò che va sottolineato come cruciale è che soprattutto cresce la fiducia della nostra gente. L’Italia ci crede. L’Italia sa che questa è la volta buona. E se finalmente riusciamo a dare fiducia al risparmiatore, al consumatore e -lasciatemelo dire – soprattutto al cittadino, allora le cose cambiano davvero. Perché ciò che ha bloccato l’Italia è stata soprattutto l’incertezza. Abbiamo il risparmio privato più alto dell’Occidente, una montagna di denari fermi e immobilizzati dalla mancanza di prospettiva. Proseguire sul cammino delle riforme e abbassare le tasse, allora, non sono semplicemente un obiettivo di dignità politica e sociale al quale non rinuncerei per nulla al mondo, ma sono anche – può sembrare paradossale ma non lo è – la precondizione per la ripresa economica.
Abbiamo restituito 80 euro ai cittadini con meno di 1.500 euro al mese nel 2014.
Abbiamo tolto la componente costo del lavoro dall’Irap delle aziende nel 2015.
Togliamo la tassa sulla prima casa (Imu e Tasi) per tutti, per sempre, dal 2016.
Abbasseremo ulteriormente le tasse alle imprese nel 2017 (Ires).
Interverremo sugli scaglioni irpef nel 2018.
Promettere di abbassare le tasse è un ritornello di tutti (o quasi) i politici. Noi lo stiamo semplicemente facendo. E lo facciamo anche perché pensiamo che poter contare su un fisco meno oppressivo (anche nei metodi, ne parleremo più diffusamente in una delle prossime enews) è lo strumento che abbiamo per restituire libertà di impresa e investimento agli italiani.
Ho accettato di formare il Governo, intervenendo a legislatura in corso quando il cammino di questa legislatura sembrava spacciato e l’Italia politica sembrava ferma nella palude, per tentare l’elettroshock e far ripartire il motore del Paese. Adesso che l’Italia ha svoltato, ora è il momento di insistere: tranquillità, fiducia, credibilità. C’è un’altra Italia. E non è più il problema del mondo.

Punto 2. Immigrazione. Italia punto di riferimento del mondo
Che l’Italia sia oggi un punto di riferimento a livello internazionale emerge chiaro nelle delicate questioni legate all’immigrazione. A casa nostra qualcuno ha raccontato per mesi che l’immigrazione era un problema tutto locale, figlio della cattiva gestione politica di un Governo o di una prefettura. Si è fatto credere che l’Italia fosse invasa e il mondo invece stesse bene. Finché la realtà si è presa una bella rivincita.
Il numero delle donne e degli uomini che raggiungono le nostre coste è più o meno lo stesso, identico, dello scorso anno. Non c’è invasione, dunque. Si può discutere e riflettere insieme su come gestire al meglio la complicata partita organizzativa, dall’accoglienza all’asilo ai rimpatri. Ma non c’è nessuna invasione con buona pace dei professionisti dei toni apocalittici che affollano i nostri talk show, non solo dal lato dei politici.
Quello che invece sta accadendo in altri paesi europei dimostra che siamo davanti a un problema serio, che durerà anni e che l’intera comunità europea deve affrontare. Ci siamo stancati dei minuti di silenzio di Bruxelles quando affonda un barcone o muoiono tanti bambini sulle spiagge, nelle stive, dentro i camion. Non basta commuoversi, è tempo di muoversi. Con una politica di asilo comune, con accoglienza e rimpatri gestiti dall’Europa e non dai singoli stati, con una politica di cooperazione internazionale più incisiva, con un’azione mirata contro i trafficanti di uomini, gli schiavisti del ventunesimo secolo.
Proponiamo queste cose dal consiglio straordinario di aprile e il popolo delle enews ricorda bene tutti i nostri passaggi, più o meno condivisi, ma certo coerenti. Non dovremo fare la fatica di cambiare idea al prossimo consiglio europeo. Perché abbiamo sempre sostenuto che sul tema dell’Immigrazione l’Europa si gioca la faccia. E che occorre una risposta unita. Adesso che il clima sembra cambiato, adesso che autorevoli leader hanno preso posizioni che finalmente possiamo condividere, adesso che l’Italia ha tracciato la linea, non ci accontentiamo di aver avuto ragione in passato. Vogliamo risolvere il problema, non ci basta dire di aver avuto ragione. Ho scritto questo articolo per tredici giornali europei, sono gradite le vostre osservazioni.

Punto 3. Riforme, unico modo per restituire dignità alla politica.
Da qualche settimana i media riportano una grande discussione sulle riforme costituzionali. Il ritornello che viene trasmesso a reti unificate è il solito: non ci sono i numeri per approvare le riforme. Un ritornello cui sono molto affezionato, perché è lo stesso che ha funzionato alla grande in tutte le precedenti riforme puntualmente approvate tutte. Porta bene, insomma. Non c’erano i numeri, secondo tutti questi esperti, per fare la riforma elettorale, che adesso infatti è legge dello stato. Non c’erano per la scuola, per il jobsact, per gli 80 euro, per la responsabilità civile dei magistrati, per il divorzio breve, per la pubblica amministrazione, per i reati ambientali, per l’anticorruzione, per l’irap costo del lavoro: tutti a dire, scrivere, profetizzare che “no, non ci saranno i numeri”. E alla fine i numeri ci sono sempre stati. Come ci sono e ci saranno per la riforma del Senato. Perché quello che sta accadendo in questo scorcio di legislatura è che finalmente la politica si è dimostrata capace di recuperare dignità. Sembrava impossibile che la politica finalmente facesse le riforme e invece sta avvenendo. Le riforme portano credibilità internazionale, risparmio economico grazie alle regole della flessibilità, interesse degli investitori internazionali, certo. Ma soprattutto portano dignità alla politica. E fino a qualche mese fa questo, in Italia, sembrava impossibile visto che eravamo abituati a riforme discusse, annunciate e non realizzate. La musica è cambiata, le cose si fanno, le riforme diventano legge, i risultati arrivano.

Qualche link, se proprio non avete niente di meglio da fare
– qui trovate il breve video della mia intervista al Tg1 di venerdì scorso
– qui trovate il lungo video della mia partecipazione a Porta a Porta di lunedì scorso
– qui una intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere di due settimane fa

Pensierino della sera. Oltre duecentomila persone in un giorno all’Expo. Tanta gente, tanta. Ma anche tante idee. A cominciare da quelle sul come tener vivo questo appuntamento sotto il profilo ideale e culturale, continuando la lotta alla fame nel mondo, alla malnutrizione, alla povertà. Abbiamo discusso di questo e di altro con tanti ospiti internazionali, ultimo dei quali solo in ordine di tempo il leader degli U2 Bono Vox. Abbiamo vinto la sfida dell’Expo quando non ci credeva nessuno. Bene. Ma adesso dobbiamo vincere la sfida dell’eredità dell’Expo, tenendo vivi gli ideali che muovono l’Italia in questo campo.

Un sorriso,
Matteo

Post-Scriptum Due ragazze del sud, due giovani donne trentenni, due tenniste straordinarie hanno compiuto un’impresa nella quale non credeva nessuno, nemmeno loro. Hanno colorato d’Italia gli US Open giocandosi la finale e distruggendo il sogno della numero 1, Serena Williams. Hanno ammutolito NYC che poi le ha abbracciate in una ovazione entusiasmante e ci hanno reso orgogliosi di essere italiani. è la grande forza dello sport, come dimostra Fabio Aru che trionfa alla Vuelta. O i successi di sportivi più o meno noti, in tutte le discipline. Ma le vittorie di Pennetta e Vinci, e il trionfo di Flavia in finale, non sono solo tennis. è molto più che tennis. è una meravigliosa storia italiana, di donne che non rassegnandosi e non arrendendosi dimostrano che siamo capaci di tutto, persino di vincere quando non ci crede nessuno. Sono andato a NYC per vivere con loro la finale. Ho letto molte polemiche per la mia scelta. Fosse stato il calcio, non avrebbe detto niente nessuno. Ma è tennis, tennis femminile, e allora in tanti hanno storto la bocca come fosse sport di serie B. Rispetto tutti. Ma credo che un grande Paese come l’Italia, una comunità nazionale stia insieme anche grazie a emozioni condivise e non solo a statistiche. Quelle ragazze ci hanno emozionato e reso orgogliosi. L’Italia con i suoi rappresentanti, con il suo Comitato Olimpico, era lì con loro. A dire brave, a dire grazie, a dire al mondo che ci guardava che – come sempre – l’Italia è capace di tutto. Chi vuole vivere di rancore, faccia pure. Noi oggi ci teniamo stretti questa inattesa felicità.