Renzi: «Il voto anticipato non è più un tabù. No a governi tecnici e battiamo la destra»
Intervista a Matteo Renzi per «La Repubblica» del 25-07-2024
di Giovanna Vitale
«La candidatura di Kamala Harris è il gol all'ultimo minuto che porta la partita ai supplementari». Matteo Renzi utilizza una metafora calcistica per commentare il colpo di scena destinato a cambiare le presidenziali Usa. Simile in piccolissimo a quello andato in scena in Italia, con lui che ha schierato Iv nel centrosinistra e lanciato Elly Schlein candidata premier alle prossime Politiche. «Le difficoltà di Meloni sono evidenti», spiega il senatore di Firenze, «il voto anticipato non è più un tabù e noi dobbiamo attrezzarci per vincere, respingendo ogni ipotesi di grande coalizione o governi tecnici».
Il ritiro di Biden era inevitabile?
«Gli sono umanamente legato, ma dopo il disastroso dibattito sulla Cnn solo un suo passo indietro poteva rimettere i democratici in partita. In una settimana Harris ha fatto invecchiare Trump di trent'anni, ha giocato la carta della legalità. Ora è lei la freschezza, l'innovazione».
Non era meglio Michelle Obama?
«Tante volte ne abbiamo discusso con Obama e con la stessa Michelle, per esempio allo State dinner nell'ottobre 2016, ma lei ha sempre escluso questa possibilità e più netto è stato il marito. La vera alternativa a Kamala era una candidatura di un governatore del Midwest in grado di parlare ai conservatori».
Harris è troppo radicale?
«Ma no, il punto di debolezza è che non ha brillato come vicepresidente. Ma oggi, a 100 giorni dalle elezioni, è una grande chance per ribaltare un risultato che sembrava già scritto».
Ma come ha fatto un grande partito come quello repubblicano a ritrovarsi ostaggio di Trump?
«L'elettorato americano si è estremizzato. Al posto del vecchio mondo conservatore, liberista e no tax si è affermato un movimento arrabbiato, il Maga, che trae linfa dalla frustrazione del ceto medio che non crede più al sogno americano. La destra si è dimostrata più capace di cavalcarne la sofferenza e le paure».
È la stessa ragione per cui in Italia ha vinto Meloni?
«Sì, una parte del voto a Meloni, come a Le Pen o a Farage si spiega con l'impoverimento delle famiglie, la riduzione del potere d'acquisto, gli stipendi bassi. Salari, sicurezza e protezione sono gli elementi chiave per vincere o perdere le elezioni. Sui quali il centrosinistra dovrebbe costruire una proposta organica per dare risposte a chi non riesce ad arrivare a fine mese, a curarsi, a dare una mano ai figli. Solo facendolo sconfiggeremo Meloni e soci».
Sente odore di voto anticipato?
«Nella maggioranza è in corso un regolamento di conti che potrebbe far nascere qualcosa di nuovo a destra. Ma se si rompono noi dobbiamo evitare governi tecnici o parlamentari e andare a elezioni. Nel 2022 il centrosinistra era a pezzi e loro compatti. La prossima volta deve accadere il contrario. I voti del centro strappati agli avversari potranno essere decisivi nei collegi marginali».
Ma come mai ha cambiato idea?
«Per due fattori. Intanto, a differenza di Letta, Schlein ha detto: non mettiamo veti. È l'unica strada per vincere: è successo nel Regno Unito, quando Starmer ha rimosso i veti su Tony Blair, e accade in tutta Europa quando la sinistra si unisce ai riformisti».
E l'altro fattore?
«Abbiamo tentato di creare un Terzo polo e non ce l'abbiamo fatta, per le divisioni assurde. Per cui Italia Viva sceglie di stare nel centrosinistra a tutti i livelli, fin dalle prossime regionali e dalla campagna contro l'autonomia differenziata. Rimaniamo garantisti e contro l'aumento delle tasse, pro business e per le infrastrutture. Ma se devo scegliere tra Schlein e Meloni non ho dubbi. L'Italia ha un governo imbarazzante che, con gli errori in Europa, i Lollobrigida e i Delmastro, ci sta facendo fare una figuraccia sul piano nazionale e internazionale».
Conte però dice giammai, lei non è di centrosinistra.
«Se è finita la stagione dei veti, è finita sia in entrata sia in uscita. Se Conte vuol parlare del passato, discutiamo. Mi incolpa di aver fatto cadere il suo governo. Ma io non rinnego di aver portato Draghi a Palazzo Chigi. Non credo gli convenga aprire questo dibattito: non ho firmato io i decreti Salvini sull'immigrazione, non mi sono mai definito sovranista, non ho mai appoggiato Trump».
Ma come farete a stare insieme?
«Con un lavoro programmatico per costruire non l'opposizione ma l'alternativa. Per preparare il governo di domani. Significa fare un grande lavoro sui contenuti. Sul Jobs Act ognuno si tiene le proprie idee, parliamo del futuro».
L'ha ferita la condanna dei suoi genitori per fatture false?
«Rispetto le sentenze di primo grado, aspetto la Cassazione. Dopo nove processi finiti bene sono sicuro che anche questo si concluderà con l'ennesima assoluzione. Intanto è caduta l'accusa di bancarotta che aveva portato all'arresto show. Ora parte l'appello, il tempo sarà galantuomo».