Renzi: "Nella via progressista di Biden e Starmer il futuro dell’Europa"

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La lettera al quotidiano "la Repubblica", 24 novembre 2020.

Caro Direttore,
il suo editoriale di domenica sulla nuova via progressista di Biden-Starmer tocca un tema centrale per la mia sensibilità personale e per Italia Viva. Ma soprattutto – ben più importante – tocca il tema chiave del futuro europeo.

Le riflessioni del segretario Zingaretti e del direttore Barber che ieri Repubblica ha proposto ai suoi lettori arricchiscono questo dibattito.

Aggiungo tre mie brevi considerazioni.

La prima. Le elezioni americane dimostrano che c’è ancora una differenza tra destra e sinistra. Direi di più: c’è un abisso tra la destra di Trump e la sinistra di Biden.

Ma c’è anche una differenza forte anche tra sinistra e sinistra. Se avessero corso Sanders o Warren, oggi Trump sarebbe a preparare il secondo giuramento, non a giocare a golf.

Ha vinto Biden perché si vince al centro.
Ha vinto Biden perché si vince da riformisti.
Ha vinto Biden perché senza la riconquista dell’Arizona o della Pennsylvania la sinistra radicale farebbe ciò che le riesce fare meglio da sempre in tutto il mondo: l’opposizione. Lei Direttore cita giustamente la Ocasio Cortez: con AOC si vince il collegio di New York, con Biden si vince la Casa Bianca.

La seconda. Il Regno Unito ha visto la sconfitta tragica di Ed Miliband prima e di Jeremy Corbyn poi. Con Blair la sinistra radicale mugugnava ma i laburisti vincevano. Con Miliband junior e Corbyn la sinistra radicale esultava ma al governo ci finivano i conservatori. Starmer lo ha capito bene. E punta all’asse con Biden in una versione aggiornata dello storico rapporto tra Clinton e Blair per tornare a giocare un ruolo di governo. Le elezioni inglesi saranno nel 2024: il tempo per consolidare una proposta c’è tutto: non dimentichiamo che Blair assume la guida del Paese quattro anni e mezzo dopo Clinton, non subito. Certe analogie potrebbero ritornare. Nel frattempo ricordo come per anni la mia leadership dentro il PD – che pure ha portato al più alto risultato mai raggiunto nella storia italiana dal 1958, quasi il 41% prima del fuoco amico – sia stata insediata da chi mi faceva la morale sul fatto che si dovessero abbandonare gli Obama e i Blair per copiare i Sanders e i Corbyn: sono felice di non aver mai seguito i suggerimenti di questi visionari profeti.

La terza. Se davvero la strategia è quella di una grande chiamata alle armi contro il populismo internazionale – e la nomina di Anthony Blinken alla Segreteria di Stato potrebbe rafforzare questa ipotesi – manca un terzo partecipante. Che è l’Europa del progressismo. Un’Europa che non solo sia contro i populisti ungheresi, polacchi e lepeniani, cioè contro gli amici continentali di Salvini e Meloni. Ma anche un’Europa che sia diversa dal PPE di Angela Merkel peraltro prossima a lasciare dopo sedici anni la cancelleria tedesca. Chi è oggi il principale riferimento di questa alleanza progressista Biden-Starmer in Europa? A mio giudizio la leadership più forte nelle famiglie liberali e socialiste è giocoforza quella di Emmanuel Macron. Ed ecco che si pone il tema di come l’Italia può stare nel dibattito politico da qui al prossimo biennio dove si avranno elezioni in Germania e Francia e si giocherà la sfida decisiva del Recovery Fund. E dove la grande questione ambientale sollevata da Obama nella conferenza di Parigi (che onore per noi partecipare a quella firma) e rilanciata da tutti noi torna centrale con Biden che modifica la scelta miope di Trump di abbandonare la lotta al cambiamento climatico.

Abbiamo dato vita a un Governo che ha spaccato il fronte populista, mandando all’opposizione Salvini e portando l’esecutivo Conte su posizioni europeiste diametralmente opposte a quelle del governo gialloverde. Il simbolo più evidente è Di Maio che va nel 2019 dai Gilet Gialli e nel 2020 porta i Cinque Stelle a trattare l’ingresso nel partito di Macron. Il nostro è stato un capolavoro tattico che ha permesso all’Italia di governare la pandemia con un esecutivo che si fidasse della scienza e del buonsenso e non inseguisse le farneticanti assurdità dei populisti di mezzo mondo. Oggi però non basta. Proprio per ciò che lei scrive c’è bisogno di uno sguardo diverso e più profondo sul mondo. Se come dice Barber, il rischio è quello di una sfida finale tra democrazia liberale e populismo, l’Italia deve esserci, con forza, senza paura di sporcarsi le mani. Toccherà a Conte, Zingaretti e a tutti gli altri leader decidere se essere protagonisti della nuova pagina che la vittoria del Presidente Biden apre anche per l’Italia e per l’Europa. Oppure se passare il tempo che ci separa dall’elezione del successore di Mattarella in uno stanco litigio quotidiano senza visione.