Renzi: "Ora avanti con Draghi, per affrontare vaccini, Recovery, lavoro"

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Intervista di Stefano Cappellini, "la Repubblica",  4 febbraio 2021. 

Senatore Renzi, l'uomo più impopolare del Paese, è riuscito a cacciare il più popolare, Conte?
«È probabile che io sia il più impopolare del Paese, è improbabile che Conte sia il più popolare, ma è certo che Draghi sia il più competente. Va bene così».

Come ha festeggiato la cacciata di Conte?
«Non ho niente da festeggiare. Sono solo felice di vedere una personalità come Draghi pronta a guidare il Paese».

Conte uno, Conte due, governo Draghi. Si può dire che, a modo loro, tutti gli esecutivi della legislatura siano tutti figli suoi. Ma i primi due non sono venuti granché.
«Stiamo parlando di due governi ben diversi. Il Conte 1 - che io ho avversato - è stato tra i peggiori esecutivi della Repubblica. Erano populisti a fianco di Trump e contro l'Europa, al fianco dei Gilet Gialli. Il Conte bis invece ha visto una svolta europeista e una buona capacità di rassicurare la cittadinanza nella prima fase di pandemia. Rivendico il mio ruolo nella nascita di quel governo: per togliere i pieni poteri a Salvini allora avrei fatto di tutto. Adesso però era tutto bloccato, senza slancio, senza visione, immobile».

E senza ruoli di peso per Italia Viva.
«A chi mi domanda perché la crisi rispondo semplice: se dobbiamo spendere 200 miliardi di euro preferisco li spenda Draghi che Conte. Poi il governo Draghi lo fa nascere il Parlamento su indicazione di Mattarella, non il sottoscritto. Io faccio il tifo e voto la fiducia».

Temeva la concorrenza elettorale di Conte.
«Una barzelletta. Io volevo gestire bene i vaccini, spendere i soldi europei, riaprire in sicurezza le scuole, affrontare l'emergenza occupazionale, sbloccare i cantieri. Tutte cose che il governo Conte non riusciva a fare. Siamo gli unici che si sono dimessi per un ideale».

C'è stato un momento della trattativa con la maggioranza uscente che le ha fatto dire no? O era tutto già deciso?
«È stato quando noi abbiamo tolto dal tavolo tutti gli elementi divisivi, sia sui nomi che sui contenuti, e loro hanno rilanciato su giustizia e Mes. Lì ho capito che era finita».

Sicuro sia andata così? Il Pd la racconta al contrario.
«Forse pensavano che potessero tacitarmi con qualche poltroncina di consolazione. Dopo tanti anni non hanno ancora capito che posso commettere tanti errori, ma se sono convinto di una battaglia vado fino in fondo. Ho detto: guardate che se andate al muro contro muro vi fate male voi. Penso solo che come dicevano i latini "ex malo bonum". Dal negativo qualcosa di positivo arriva. E il governo Draghi sarà la salvezza dell'Italia: ha messo in sicurezza l'euro quasi dieci anni fa, metterà in sicurezza il Recovery Plan per i nostri figli».

Bonafede, Arcuri, Azzolina. Quale di queste "teste" sarebbe stata decisiva per il ter?
«Per me serviva cambiare sia sulla giustizia che sulla scuola che sulla gestione commissariale. I 5S hanno scelto di fare la resistenza su tutti e tre. Mi domando se i gruppi grillini fossero a conoscenza che non solo la linea era "O Conte o morte", ma addirittura "O Bonafede Arcuri e Azzolina o morte"».

Confindustria spingeva per confermare Gualtieri e lei per rimuoverlo. Chi sbagliava i conti?
«Io non ho chiesto la rimozione di Roberto. Ho chiesto alla coalizione qualche segnale di discontinuità che non è arrivato. Quanto a Confindustria rinuncio a capire il loro posizionamento nello scacchiere istituzionale: alcuni dei loro dirigenti sembrano molto sensibili a singoli provvedimenti che li riguardano più che alla visione Paese».

Questa crisi è sembrata anche un lungo braccio di ferro tra lei e il Pd.
«La linea politica del Pd in questa crisi per me è inspiegabile. Potevano svolgere una funzione di mediazione, di equilibrio, di rilancio. Hanno scelto di appiattirsi sulla posizione "O Conte o voto". Le vicende di questi giorni dimostrano che la politica non si fa con gli aut aut ma con una paziente opera di tessitura e dialogo. C'è chi sostiene che Zingaretti e Bettini avessero una raffinata strategia in testa. Evidentemente era talmente raffinata da sembrare inesistente. O forse non l'ho capita io. Ma sinceramente oggi la priorità sono i vaccini, il Recovery Plan, il lavoro. Non Goffredo Bettini».

Perché ce l'ha tanto con Bettini? Le scocciano le sue critiche feroci?
«Se mi scocciassero le critiche farei un altro mestiere. La corrente thailandese del Pd non mi riguarda, io sto sui contenuti».

Il Pd sostiene che lei è più preoccupato di distruggere il Pd che di guadagnare consenso.
«Quando esco da un posto sono abituato a spegnere la luce. Ciò che accade in casa d'altri non mi riguarda più. Dopo di che qualcuno deve spiegare ai dem che non esiste solo il consenso per chi fa politica. Forse non crescerà il livello dei miei sondaggi ma sicuramente con Draghi crescerà il numero degli occupati».

Conte sospetta che lei avesse già un accordo sottobanco con Salvini.
«Io Salvini l'ho sempre combattuto a viso aperto. E quando combattevo il ministro Salvini, Conte era il premier del governo che firmava i decreti sicurezza. Adesso che si metta a utilizzare Salvini è semplicemente imbarazzante. Per lui».

Nel M5S in molti dicono già no al governo Draghi. Che succede se, a causa delle defezioni grilline, non bastano i voti in Parlamento?
«Diamo tempo al tempo. E lasciamo lavorare il presidente incaricato. La maggioranza ci sarà».

Il Pd dice di non voler governare con la destra "vichinga" amica di Trump. A lei andrebbe bene?
«Il presidente Mattarella ha fatto un bellissimo e perentorio appello ai partiti per un governo di emergenza nazionale, non per formare delle coalizioni politiche. Sarebbe irresponsabile dire no. L'amico di Trump, comunque, è il presidente del consiglio uscente. Non quello entrante».

Sapeva della disponibilità di Draghi?
«No. Draghi non mi ha mai detto nulla. E da civil servant rispettoso delle istituzioni sono certo che non abbia parlato con nessuno se non con il presidente Mattarella».

Nell'esecutivo devono esserci solo ministri tecnici o anche politici?
«Non ho la minima idea. Non tocca a me deciderlo. Deciderà Draghi. Io voterò la fiducia sia con ministri solo tecnici che con ministri politici».

E Conte? La convince l'idea che abbia un ruolo nel nuovo governo?
«Dopo aver passato un mese a discutere di Conte premier, spero che non perdiamo un altro mese a capire quale ministero chiede».

Se le chiedono di fare il ministro?
«Non sono della partita, sono troppo divisivo».

La missione di Draghi deve essere limitata alla messa in sicurezza del Recovery? O si può pensare ad altre riforme strutturali?
«Il Recovery è uno scambio: ci danno soldi se facciamo riforme. Da questo punto di vista la leadership di Draghi è un'assoluta garanzia. E come se avessimo fatto un'assicurazione sulla vita. Ma sulla vita del Paese. Io ho frequentato i consessi internazionali: nessuno gode della stima di Mario, da Obama a Trump a Biden, dalla Merkel a Macron a Johnson. Ci saranno riforme, altrimenti non arriveranno le risorse europee».

La legislatura deve arrivare all'elezione del nuovo capo dello Stato? E diventa Draghi il naturale candidato?
«La legislatura durerà fino al 2023. Quanto al capo dello Stato deciderà il Parlamento tra un anno. Ora preoccupiamoci di dare la fiducia al governo e lasciamolo partire per la sua navigazione».

Riforme istituzionali e legge elettorale sono in agenda?
«Per me lo sono sempre. Ho perso Palazzo Chigi per superare il bicameralismo, cambiare i poteri delle Regioni, affermare che chi vince alle elezioni governa cinque anni grazie al ballottaggio. Temo che non ci sia la stessa volontà da parte di tutti. E che molti siano per il proporzionale, anziché per il maggioritario come il sottoscritto. Non so se il premier inserirà questi temi nell'agenda. Se lo farà ci troverà anche in questo caso al suo fianco».

Il governo Draghi deve rimettere mano al reddito di cittadinanza?
«Anche qui decide Draghi, non io. Inutile dire che, prima si mandano a casa i responsabili del fallimento Anpal o Inps, meglio è».

Il Recovery va riscritto integralmente o si può aggiustare quello di Conte e Gualtieri?
«Fossi il premier io lo farei. Una buona squadra scrive il Recovery in tre giorni. Quello che è importante è evitare di spendere i soldi in micro-mance come quelle di molte misure della Legge di Bilancio e avere una visione strategica chiara».

Lei guadagna molto dalle conferenze in giro per il mondo. È opportuno che un leader in attività sia pagato da organizzazioni, pubbliche o private, che rischiano di metterlo in conflitto di interessi?
«Ho fatto decine di conferenze rispettando le regole sul conflitto di interessi. Il Senato non vieta di fare discorsi o seminari, anche a pagamento, a chi viene invitato perché riconosciuto in grado di avere qualcosa da dire. Io rispetto le leggi italiane, pago in Italia le tasse del lavoro che svolgo all'estero, rispetto le norme sul conflitto di interessi».

Va bene anche l'apologia di un regime illiberale, accusato da molte inchieste indipendenti di aver organizzato l'omicidio del giornalista Khashoggi?
«Chi conosce l'Arabia Saudita sa che sotto la leadership del principe Bin Salman sta attuando il più ambizioso progetto della storia della regione, che prevede notevoli passi in avanti nella cultura, nell'innovazione e nel campo dei diritti. L'Arabia è il nostro principale partner strategico nella regione, cruciale per combattere l'estremismo. Non stiamo parlando di una democrazia occidentale, certo, ma di un Paese che sta compiendo una svolta senza precedenti. Se vogliamo far polemica su di me, facciamola: una più una meno cambia poco. Ma se vogliamo parlare di politica estera le cose sono più complesse di come appaiono. Quanto a Khashoggi, come tutti mi auguro che il processo faccia davvero giustizia».

Ora, cacciato Conte, a che punta?
«A un Paese che riparte e spende bene i soldi del Recovery: avremo più risorse di quelle che sono arrivate nel dopoguerra con il Piano Marshall. Italia Viva crescerà come punto di riferimento di chi non si allinea all'accordo Pd-M5S-Leu e di chi non vuole morire sovranista. Dal punto di vista personale, invece, voglio rifiatare. Ho vissuto con molto dolore l'aggressione mediatica di queste settimane: l'odio e il pregiudizio non mi avevano mai fatto male come stavolta, devo confessarlo. Ma il fatto che a Palazzo Chigi stia per arrivare Draghi ci rinfranca per tutte le polemiche. Molti finalmente capiscono perché abbiamo fatto la crisi. Nonostante tutto, sì, ne valeva la pena».