Renzi: "Vi racconto come il mio amico MBS sta cambiando l’Arabia Saudita"

Le attività ed i successi che portiamo avanti dipendono dall'impegno di ognuno di noi. Ogni contributo è importante.
dona italiaviva

Intervista a Matteo Renzi per 7 Corriere della Sera 15-12-2023

di Claudio Bozza

Senatore Matteo Renzi, come nasce il suo rapporto con Mohammed bin Salman?

«Ci siamo conosciuti quando ero Presidente del Consiglio. Abbiamo lavorato bene insieme negli eventi internazionali, specie al
G20. Eravamo i più giovani al tavolo: ci univa la fame di futuro, l'idea di considerare l'innovazione come una opportunità e non come una minaccia, la speranza contro la paura. Quella era la parola d'ordine del governo italiano di allora: futuro. E con Bin Salman è affascinante parlare di futuro».

Lei siede nel board Future investment initiative (Fii Institute), fondazione presieduta dal principe ereditario saudita. Questo ruolo le è costato dure critiche. Lei oggi, con bin Salman divenuto cardine dello scacchiere internazionale, rivendica: «Le cose che dicevo i anni fa ora le dicono tutti». Cosa ha visto prima degli altri?

«Penso che i politici si dividano in due categorie. Ci sono quelli che seguono l'onda della quotidianità: commentano su tutto, twittano in continuazione, esprimono i propri pensierini: sono quelli che vanno di moda oggi e prendono tanti like. E poi ci sono politici che provano a raccontare il futuro prima che accada correndo il rischio dell'impopolarità. Perché dire le cose quando non vanno di moda è il tabù della politica di oggi. Io qualche anno fa raccontavo come l'Arabia Saudita stesse vivendo un nuovo Rinascimento. E intendiamoci il Rinascimento non è stato un periodo idilliaco, di pace e amore: ci sono stati scontri furenti, guerre senza quartiere, tensioni. Ma il Rinascimento è stata una fioritura di idee, cultura, arte, bellezza, innovazione, talento. Allora mi hanno preso in giro quasi tutti, anche quelli che faticano a individuare dov'è Riad sulla mappa geografica. Oggi ci rendiamo conto semplicemente che quel che dicevo era la verità».

È quindi davvero convinto che in Arabia ci siano le condizioni «per costruire un nuovo Rinascimento»? Può farci degli esempi?

«Un Paese di giovanissimi che sono coinvolti in eventi di rilievo internazionali. Con lo sport, certo, a cominciare dal calcio, ma anche e soprattutto con la cultura. Dal cinema a Gedda agli eventi musicali di Riad è un fiorire di concerti, mostre, festival, eventi. AlUla è una meraviglia assoluta, che vale da sola un viaggio in Arabia. E sono in prima fila sull'intelligenza artificiale, gli sport elettronici, l'innovazione. L'occupazione femminile cresce con percentuali incredibili per un Paese in cui fino a qualche anno fa le donne non potevano nemmeno guidare. Il progetto di Neom è il progetto più avveniristico del pianeta. L'Expo sarà il suggello della strategia Vision 2030».

Da premier, lei aveva stretto un solido rapporto con Barak Obama. E il suo interlocutore chiave con la Casa Bianca era Joe Biden. Oggi il presidente degli Usa ha fatto una radicale marcia indietro: un anno fa rifiutava di stringere la mano a MbS per il caso Khashoggi, ma al G20 di settembre lo ha fatto. Cosa è cambiato?

«Gli americani hanno sempre guardato con sospetto la nuova generazione di sauditi. Perché tutto sommato alla Casa Bianca non dispiaceva un'Arabia Saudita fedele ma chiusa in sé stessa: i sauditi non avevano mai giocato un ruolo di primo piano geopolitico. Con Mbs molto è cambiato. Mi pare che gli americani lo abbiano capito anche grazie al lavoro di Jake Sullivan, il national security advisor e del capo della Cia, Bill Burns che conosce benissimo la regione».

Il principe saudita può essere davvero la pedina decisiva per fermare la guerra in Israele? Perché?

«Avremo la pace di Abramo - o come la chiamava La Pira: la pace dei figli di Abramo - quando Riad avrà relazioni diplomatiche con Tel Aviv, e io aggiungo con il Vaticano. E ciò avverrà sotto la leadership di bin Salman. Il massacro del 7 ottobre ha colpito Israele al cuore proprio quando si stava chiudendo lo storico processo di avvicinamento con i sauditi. Lo sdegno e l'orrore per quello che è successo non passerà mai. Ma dopo due mesi possiamo dire che almeno il tentativo di far deragliare il treno della diplomazia è fallito. L'appuntamento con la storia è stato rinviato, non cancellato. E quando arriveremo alla pace tra Riad e Tel Aviv sarà perché il terrorismo di Hamas sarà estirpato e le monarchie arabe sosterranno il peso economico di ricostruire la Palestina. Se penso a tutti i soldi che sono arrivati a Gaza in questi anni e sono finiti in tunnel e armamenti, per non parlare della bella vita di qualche dirigente di Hamas all'estero, mi viene male al cuore. Riad sarà decisiva, non da sola, per sostenere il peso economico della costruzione dello Stato di Palestina. Finalmente i soldi andranno ai bambini palestinesi e non ai terroristi. Nelle scuole e non nelle armi. Per l'agricoltura e non per i tunnel».

E in un ipotetico negoziato di pace per l'Ucraina, che ruolo potrebbe svolgere bin Salman?

«Credo che il grande assente del negoziato di pace in Ucraina sia l'Europa. Io dal primo giorno difendo l'Ucraina: ho votato per le sanzioni e per l'invio di armi. Ma sempre dal primo giorno - era il febbraio 2022 - dico che servirebbe un mediatore europeo, uno alla Merkel o alla Blair, per capirci. Perché non è che quando combatti la diplomazia deve arrestarsi: è il contrario. La diplomazia serve soprattutto nelle difficoltà, gli ambasciatori servono a questo: non a fare i ricevimenti con il salmone e lo champagne».

Lei vola spesso in Arabia: cosa ha visto cambiare nel Paese in questi 4 anni? E cosa l'ha colpita di più?

«Tutto. È cambiato tutto. È irriconoscibile l'Arabia Saudita di oggi rispetto a quella di qualche anno fa. Ma attenzione: non è un fatto solo di impressioni: bin Salman ha un'attenzione spasmodica per i numeri, per quello che potremmo definire "il controllo di gestione". Sono i dati, le cifre, le statistiche che raccontano il cambiamento molo più della pur evidente percezione visiva».

Mbs, re del petrolio, si è però aggiudicato Expo 2030 promettendo «la prima esposizione universale a emissioni zero». In apparenza sembrerebbe un ossimoro...

«Solo per chi non conosce la realtà saudita. Basta visitare la sede di Saudi Aramco, la prima azienda di oil & gas al mondo, per rendersi conto che l'innovazione è talmente spinta che davvero i sauditi credono al futuro a emissioni zero. Non solo piantando qualche miliardo di alberi, ma soprattutto con la tecnologia. Il centro ricerche di Saudi Aramco non ha eguali al mondo».

In questa sfida planetaria Roma è finita sbaragliata, con 17 voti su 165 Paesi. Lei ha parlato di «Caporetto diplomatica italiana». Ma è davvero convinto che più che gli investimenti miliardari messi sul piatto dall'Arabia in più parti del mondo, Africa in primis, abbia contato la diplomazia?

«Se la diplomazia funziona bene non perdi incassando 17 voti. Se la diplomazia funziona benino ti avvisa che stai perdendo e tratti un ritiro onorevole. Se la diplomazia non funziona, ti accorgi a cose fatte che sei arrivato terzo su tre e hai fatto una figura da peracottaro. Vedere l'Italia umiliata così fa male. Fossi il ministro degli Esteri Antonio Tajani mi vergognerei».

L'ambasciatore Giampiero Massolo, capo del comitato promotore di Expo, si è difeso parlando di «mercantilismo». Di chi è la responsabilità di questa débàcle dell'Italia?

«Con tutta la stima che ho per l'ambasciatore: in queste competizioni non c'è uno scontro tra mercanti e non mercanti. C'è uno scontro tra vincenti e perdenti. Quando si perde è sempre difficile da accettare. Ma quando si perde con queste proporzioni si può solo tacere. Noi una Expo l'abbiamo gestita, realizzata e vinta: so di cosa parlo. Invito tutti a smetterla di arrampicarsi sugli specchi. Abbiamo bisogno di un severo esame di coscienza, non di alibi e autoassoluzioni. L'Italia ha fallito: chi ha sbagliato? Chi pagherà per questi errori? Al ministero degli Esteri fischiettavano, Virginia Raggi è stata premiata con una poltrona da tutto il Consiglio comunale di Roma con l'eccezione di Italia Viva, la premier Giorgia Meloni ha visto plasticamente quanto è stimata a livello internazionale, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri non è pervenuto».


Il presidente francese Emmanuel Macron, alfiere dell'Europa unita e della necessità di sostenere il suo interesse comune, nel luglio 2022 fu però il primo ad annunciare il voto per Riad, e certo non per Roma. Perché?

«Perché Roma non è stata capace di prendere nemmeno il voto del vicino di casa. Ho visto qualche statista nostrano che commentando il risultato ha attaccato il governo francese pur di non attaccare il governo italiano. Macron ha fatto le sue scelte. Il fatto che non ci abbia filato nemmeno lui dovrebbe far riflettere sulla credibilità della nostra classe dirigente».