Renzi a Cremona: «Consensi e like inutili se non fai le riforme»

Le attività ed i successi che portiamo avanti dipendono dall'impegno di ognuno di noi. Ogni contributo è importante.
dona italiaviva

Intervista a Matteo Renzi per La Provincia Cremona del 29-02-2024

di Stefano Sagrestano

Senatore Renzi, com’è cambiata la politica al tempo delle influencer, rispetto a dieci anni fa, quando lei era a capo del governo?

«Quando ero a palazzo Chigi ho preferito pensare alle riforme, dagli 80 euro in busta paga, al jobs act che ha creato oltre un milione di posti di lavoro, al taglio delle tasse, penso alla cancellazione dell’ Imu sulla prima casa, della Tasi, dell’Irap, industria 4.0, alla riforma del terzo settore, alla 18 app, i 500 euro per i neo diciottenni da spendere in cultura, ai tagli agli sprechi dello Stato che avevamo iniziato a fare con il nostro Governo. Ho pensato a governare e ho sottovalutato il problema dei social network e delle fake news. Comunicare bene è importante: il problema, però, è quando comunicare diventa il fine e non il mezzo. Dieci anni fa, il fenomeno era già evidente, con i grillini e la Lega che hanno fatto dell’aggressività comunicativa via social la loro cifra stilistica. Oggi è totalizzante. Si pensa a scrivere il post, si interviene sui temi più irrilevanti. Un caso per tutti? Lo spot della pesca dell’Esselunga. Giorgia Meloni non ha avuto il tempo quel giorno di rispondere alle domande dei giornalisti, ma di commentare e cavalcare la polemica più virale sì. Un’ottima influencer, una pessima premier».

Contano ancora i programmi e le idee a lungo termine o basta avere un buon social media manager e cavalcare l’onda?

«Se insegui il consenso e i like è ovvio che punti tutto sulla comunicazione. Se intendi governare un Paese, no. Certo quelle idee vanno sapute raccontare. Ma la comunicazione non può sostituire la politica. Puoi saper toccare le corde giuste, ma se non fai le riforme allora hai fallito rispetto al mandato che ti è stato dato dai cittadini».

Cosa ne pensa del caso Ferragni-Balocco?

«Qualche anno fa, lo racconto nel libro, iniziano ad arrivarmi messaggi su whatsapp: ma cosa hai fatto a Chiara Ferragni? Erano i tempi del ddl Zan: noi volevamo trovare un compromesso a quel testo che, così com’era, non sarebbe mai passato. Portare a casa una legge contro l’omofobia con i voti di Forza Italia e Lega presupponeva una trattativa. I duri e puri iniziarono ad accusarci di voler edulcorare la legge. Chiara Ferragni postò una storia, con la mia faccia, con scritto ‘politici fate schifo’. Dopo il caso Balocco avrei potuto vendicarmi e sparare a zero. Non l’ho fatto perché non commento una vicenda su cui a fare chiarezza saranno la magistratura e le autorità competenti. E non lo faccio perché sono un politico, non un influencer. Per cui, se qualcosa da commentare c’è di questa vicenda, è semmai il tema della regolamentazione sull’utilizzo dei social network e sulla trasparenza della comunicazione».

Nel suo libro racconta del primo anno di governo Meloni, qual è il suo giudizio sull’operato dell’esecutivo?

«Non ho mai avuto un approccio ideologico al governo Meloni. Ho sempre detto che il pericolo fascista era solo nella testa di chi, a sinistra, non ha altri argomenti, ma che la vera preoccupazione fosse la qualità della sua squadra e del suo operato. Purtroppo per l’Italia ho avuto ragione. In un anno non sono riusciti a portare a casa un solo provvedimento che incidesse sulla vita delle persone. In compenso, hanno licenziato tante leggi per ogni caso di cronaca. La squadra di Governo è imbarazzante: dal ministro Lollobrigida che ferma il treno Frecciarossa a Ciampino, al deputato che spara la notte di Capodanno. E poi c’è una cosa che mi lascia davvero sconcertato: un Governo di destra dovrebbe abbassare le tasse. E invece loro le alzano. Dall’Iva sui pannolini e i prodotti per l’infanzia, all’Irap agricola che il mio governo aveva cancellato e loro hanno reintrodotto per poi essere costretti a fare una parziale marcia indietro per le proteste dei trattori».

A questo proposito, lei ha parlato di ‘grillizzazione’ del Pd: è terreno fertile per Italia Viva in vista delle elezioni europee?

«È chiaro che c’è bisogno delle risposte che solo il centro può dare. Il Pd oggi è un partito di estrema sinistra, giustizialista e ossessionato dall’idea di tassare, tassare tutto. Ha abbracciato il Movimento Cinque Stelle inseguendolo sui temi, a partire dal reddito di cittadinanza. A destra allo stesso modo non si fa nessuna riforma per chi lavora, per il ceto medio, per le imprese: la pressione fiscale continua ad essere quella che è, il costo della vita aumenta, gli stipendi non crescono. Dieci anni fa misi gli 80 euro in busta paga: oggi non basterebbero perché il costo della vita è fuori controllo. Se fossi al Governo, li raddoppierei a debito, coprendo il debito con un taglio reale delle spese assurde e inutili dello Stato e detasserei l’aumento degli stipendi dei lavoratori».

Indichi tre priorità per l’Italia che IV si impegna a portare a Bruxelles.

«Riportare gli interessi dell’Italia al centro dell’Europa. Le tante imprese italiane hanno bisogno di un mercato aperto, dove poter vendere i loro prodotti: per chi fa impresa l’Europa non deve essere un ostacolo ma una opportunità. I sovranisti sognano il ritorno delle frontiere, ma con le frontiere non circolano neppure le merci. Combattere la burocrazia: non è possibile che l’Ue sia il luogo dei burocrati, di chi come Timmermans, il padre del green-deal, immagina un ritorno alla vita nelle palafitte anziché un ambientalismo che sia anche economicamente sostenibile o di chi perde tempo a discutere di caricabatterie universali mentre Cina e Usa decidono le sorti del mondo. Lavorare per gli Stati Uniti d’Europa significa lavorare per un’Europa politica, che preveda l’elezione diretta del presidente del consiglio, che preveda una difesa comune e una politica estera comune e ci renda autorevoli nel mondo».

Nei giorni scorsi, Confagricoltura è stata a Bruxelles per richiedere la revisione della Pac a tutela dei produttori italiani. Cosa ne pensa?

«La Pac impiega gran parte del bilancio dell’Unione ed è giusto perché il settore primario è strategico. In questi anni l’agricoltura e la pesca, più di altri settori, hanno dovuto fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici, la grande fluttuazione dei prezzi, una competizione internazionale sempre più serrata. Per questo bisogna coniugare gli obiettivi di sostenibilità con la giusta remunerazione delle imprese. Una Pac troppo burocratica e alcune spinte populiste - come l’ipotesi per fortuna sventata di equiparare le emissioni dell’allevamento a quelle dell’industria - corrono il rischio di rendere ancora più fragile il sistema. Rivedere la Pac non è lesa maestà e non significa mettere in discussione i giusti obiettivi ambientali, anche perché gli agricoltori e i pescatori sono i primi custodi dell’ecosistema. Agli agricoltori non si deve chiedere di non produrre, ma di farlo bene e al giusto prezzo accedendo a tecnologia, innovazione, formazione. Detto questo, non è possibile mettere solo l’Europa sul banco degli imputati perché anche il nostro ministero dell’Agricoltura e gli enti pagatori hanno le loro responsabilità. Serve meno burocrazia a tutti i livelli».

Come deve muoversi la Ue sui conflitti russo ucraino e tra Israele e Hamas?

«Innanzitutto dovrebbe muoversi. L’Europa è stata ed è assente in tutte le partite geopolitiche. Sono convinto del fatto che l’Ucraina vada sostenuta anche con le armi: altrimenti, significherebbe consegnarla alla Russia di Putin. Ma ho anche chiesto, per primo e fin da subito, che l’Europa nominasse un suo inviato diplomatico speciale per arrivare a una pace giusta o quanto meno a una tregua. E invece l’Europa è rimasta assente. In Medioriente accade lo stesso: stare dalla parte di Israele e contro il terrorismo di Hamas è un dovere, ma, come ebbi modo di dire alla Knesset, bisogna arrivare alla soluzione ‘due popoli, due Stati’, quello deve essere lo sforzo verso cui tendere. Anche qui, Europa non pervenuta. Per questo servono gli Stati Uniti d’Europa; perché serve un’Europa politica».

A giugno si voterà anche in parecchi Comuni, ad esempio a Cremona. Come si pone in città?

«Come in tutta Italia: scegliendo non inseguendo le ideologie, ma chi secondo noi ha maggiori capacità e competenza per guidare la città».