Renzi: "Morti record e appalti opachi, così cambiai Conte con Draghi": ControCorrente su 'la Stampa'

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L'anticipazione del nuovo libro di Matteo Renzi, pubblicata da "la Stampa", 11 luglio 2021.

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Nel 2021 l'Italia ha vissuto una delle crisi politiche più complicate della sua storia recente. Mentre il Governo Conte Bis insisteva nel dire che andava tutto bene, che i ministri erano i migliori del mondo, che l'Italia era un modello per gli altri Paesi, inspiegabilmente i numeri e le statistiche dicevano altro: in quel momento eravamo il Paese in cima alle classifiche della mortalità, con un rapporto tra cittadini e decessi devastante. Avevamo chiuso le scuole più degli altri, subito un crollo del PIL superiore agli altri, gestito l'emergenza peggio di altri nonostante un infaticabile lavoro di medici, infermieri, volontari. Gli italiani avevano risposto alla grande, l'Italia intesa come organizzazione no. Eppure la propaganda a reti unificate e chat amplificate continuava a dire: «Andrà tutto bene».

E nel complice silenzio degli addetti ai lavori continuavano a susseguirsi gli appalti dei banchi a rotelle, delle mascherine, dei ventilatori cinesi non funzionanti ma garantiti dagli amici degli amici. Una pagina, questa, tra le più oscure della storia repubblicana. E trovo assurdo che, nonostante decine e decine di migliaia di morti e centinaia di milioni di euro di appalti sospetti, si continui a negare la commissione di inchiesta parlamentare su questi temi.

Giuseppe Conte veniva da una storia complicata. Avvocato pugliese poco conosciuto nei palazzi della politica, era diventato il leader del Governo populista Cinque Stelle-Lega. Le sue posizioni allora erano molto nette: elogiava il sovranismo al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, esaltava il populismo alla scuola di formazione della Lega Nord, guidava un esecutivo "di cambiamento" che in Europa strizzava l'occhio ai "gilet gialli" francesi e alla destra estrema tedesca. Dopo un anno fallimentare, certificato da risultati economici impietosi figli di scelte sbagliate, a partire da Quota 100 e dal reddito di cittadinanza, Conte aveva rassicurato sul proprio futuro in una dichiarazione alla stampa poi ripresa da un tweet nel luglio 2019: «Che io possa andare in Parlamento a cercare maggioranze alternative o che voglia addirittura dare vita a un mio partito è pura fantasia. Non facciamo i peggiori ragionamenti della Prima Repubblica. Voliamo alto».

Ed effettivamente aveva volato alto, altissimo, al punto da cambiare tutte le proprie idee pur di restare a Palazzo Chigi. Da sovranista era diventato europeista, da populista progressista, da leghista uomo di sinistra. Un uomo che aveva abbracciato il pensiero di Marx, inteso come Groucho Marx, non Karl: «Ho i miei principi. Se non vi piacciono, ne ho degli altri». Ecco dunque che alla guida del Governo giallorosso Conte era diventato europeista e antipopulista.

Ma soprattutto la campagna di comunicazione pervasiva — senza alcun paragone possibile a livello di Paesi occidentali per quantità di messaggi, drammatizzazione del racconto pubblico, suspence comunicativa sapientemente elaborata per tenere milioni di persone davanti al teleschermo — lo aveva reso un personaggio dalle cui labbra dipendeva la vita quotidiana delle persone. Seguire le dirette Facebook non era semplicemente un'opzione di natura politica ma un bisogno vitale per sapere se si poteva incontrare il giorno dopo la fidanzata, se e come andare al lavoro, quale tipo di ristoro economico poteva permettere alla famiglia di arrivare alla fine del mese.

E lo schema che gli strateghi della comunicazione avevano studiato era quello della concessione, mentalità tipica dello Stato ottocentesco che gli storici del Diritto definiscono appunto octroyée: vi consentiamo di uscire di casa per correre a un chilometro di distanza, vi consentiamo di portare il cane a svolgere le proprie funzioni fisiologiche, vi consentiamo di vedere il fidanzato solo se però il rapporto è stabile. E meno male che nella modulistica non c'era scritto: «Ma gli/ le vuoi bene davvero?».

Intendiamoci: la gestione di una pandemia era una scelta complicata e una sfida inedita. Farlo però preoccupandosi primariamente del proprio consenso e della propria immagine creava molti dubbi anche in chi —correttamente e lealmente — per un anno ha votato tutti i provvedimenti in spirito di responsabilità nazionale. In tutto questo, la crescita del debito pubblico, con provvedimenti a pioggia senza una vera strategia per il futuro suscitava timori profondi per i nostri figli, più che per noi. Tra vent'anni chi ripagherà il debito fatto oggi dai sussidi e dall'assistenzialismo?

Alla fine il rischio era che i ragazzi pagassero il Covid due volte: oggi perché costretti a perdere un anno di vita, di scuola, di relazioni. Domani perché costretti a saldare il conto della mancanza di visione del Governo.

Mario Draghi, invece, era semplicemente l'italiano più stimato al mondo non solo tra gli addetti ai lavori. Nei suoi interventi del 2020 — dall'editoriale di marzo sul «Financial Times» fino all'apprezzato intervento al meeting di CL a Rimini — aveva tracciato la linea su ciò che serviva, non solo all'Italia ma anche all'Europa. Nei suoi colloqui privati, almeno quelli con me, Draghi aveva sempre rispettato fedelmente le prerogative del presidente della Repubblica, del Governo allora in carica, del Parlamento. Io naturalmente forzavo su un suo eventuale impegno, anche alla luce del fatto che non avesse accettato, al termine dell'esperienza alla guida della BCE, di tornare subito al lavoro nel privato: questo costituiva per me un indicatore chiaro della sua disponibilità da civil servant a dare una mano al proprio Paese. Tutto qui.

Mandare a casa Conte è stato un atto di coraggio di poche persone che hanno rischiato l'osso del collo per cambiare tutto. Sapendo che cambiare è sempre un azzardo, un rischio, un pericolo. Ma se fossimo andati avanti come stavamo andando avanti in quel momento, il baratro si sarebbe aperto di fronte a noi e — peggio ancora — alla generazione dei nostri figli.

Abbiamo messo a rischio le certezze dei nostri amici per garantire una speranza ai nostri figli. Per evitare che il debito pubblico potesse inghiottire una generazione, quella di chi verrà dopo di noi. Diciamo la verità. Si parla poco di figli, in Italia. Noi ci avevamo provato alla Leopolda 2019 lanciando l'idea del Family Act, ma quando la politica italiana si occupa di ragazzi lo fa quasi sempre per qualche problema. Lo scandalo di Bibbiano, la didattica a distanza, singoli fenomeni di bullismo.

Noi abbiamo cambiato Conte con Draghi per ridare centralità e sicurezza alla nuova generazione, ai nostri ragazzi. E lo abbiamo fatto per svoltare nella gestione dell'emergenza, per ritornare prima possibile alla crescita economica e al protagonismo dell'Italia su scala internazionale.

Nel 2021 l'Italia guida il G20, ha la copresidenza della Conferenza sulla sostenibilità ambientale COP26, è in prima fila nella gestione della svolta europea in seguito all'abbandono del Consiglio Europeo da parte di Angela Merkel dopo sedici anni: in questi scenari internazionali avere Draghi al posto di Conte significa essere più forti. Chi lo nega, nega la realtà. Altro che complotto

Messaggio agli inconsolabili: il governo Conte non è caduto per intrighi, per complotti o per incontri segreti all'Autogrill. Il governo Conte è caduto perché non è stato all'altezza della sfida. Con Draghi l'Italia è più forte, con Conte era più debole. Punto. Ripeto: negarlo significa negare l'evidenza.

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