L’elezione di Schlein? Per noi il miglior risultato possibile

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colloquio con Matteo Renzi di Laura Cesaretti per "Il Giornale"

Senatore Matteo Renzi, dicono i maligni che lei abbia stappato champagne, la sera della vittoria di Elly Schlein. Conferma o smentisce?

«Smentisco. Anche perché sono andato a letto presto e sono a dieta. Battute a parte, la verità è che umanamente mi dispiace per Stefano Bonaccini perché è un amico. Ma politicamente per noi è il miglior risultato possibile. La sinistra si ricompatta su posizioni estremiste lasciando a noi e a Forza Italia lo spazio politico centrale».

Molti paragonano l'effetto «rottamatore» di Schlein all'effetto Renzi del 2013, dopo una sconfitta elettorale e prima del 41% alle Europee. Vede analogie?

«Con Elly non vedo alcuna analogia, se mai evidenti differenze. Quanto ai risultati, glielo dico il prossimo anno se farà meglio di me. A naso non mi pare semplice. Quel 41% del 2014, unito ai 17 presidenti di regione del 2015, è il punto più alto mai raggiunto da un partito politico in mezzo secolo. Dicono che va cancellata la stagione renziana, dimenticando che è stata l'ultima stagione in cui il Pd vinceva. Non so se Schlein farà meglio di me. Mi auguro per lei che molto più realisticamente faccia meglio di Letta. Fare peggio di Enrico peraltro è tecnicamente quasi impossibile».

Lei ha detto che la vittoria di Schlein è la notizia peggiore per Conte. E per voi del Terzo Polo? Contribuirà ad accelerare la nascita del nuovo partito e che partito sarà?

«Conte ha perso perché adesso non è più solo a rappresentare la sinistra-sinistra. E l'altra persona è una donna, più giovane, più fresca, più strutturata politicamente. Poi che Conte sia la sinistra di questo paese potrebbe far sorridere. Oggi ci sono polemiche su Piantedosi per la tragedia di Cutro, e io credo che il ministro abbia sbagliato, a cominciare dal linguaggio utilizzato. Ma parliamoci chiaro: le regole dell'impiego in mare della Guardia Costiera, quelle che oggi la sinistra giudica disumane, le ha cambiate, scritte e firmate l'avvocato Giuseppe Conte».

Non mi ha risposto sul terzo polo. Accelerate?

«Si, acceleriamo. A una condizione: che sia una cosa seria e non solo la somma di Azione e Italia viva: deve parlare a popolari, liberali, riformisti, associazionismo. Deve coinvolgere il mondo della cultura, dell'economia, dell'innovazione, non essere solo un'operazione di palazzo. È un progetto affascinante, io ci sto».

La questione più dirompente su cui Schlein è attesa al varco è l'Ucraina. Teme slittamenti dal fermo atlantismo di Letta al peloso pacifismo pro-Putin?

«Elly Schlein ha un bivio davanti a sè. Se rimane fedele ai suoi messaggi deve cambiare linea sui termovalorizzatori, sul Jobs Act, sull'Ucraina. Se vuole tenere unito il partito deve annacquarli ma a quel punto perde freschezza e credibilità. L'Ucraina è un banco di prova ma non è l'unico, a mio avviso».

Che evoluzione vede sulla guerra in Ucraina, e le sue ripercussioni geopolitiche?

«Da quando è scoppiata la guerra il mio primo pensiero - insieme al dolore per le vittime - è per quando scoppierà anche il dopo-guerra. La pace, o forse la tregua, sanciranno un mondo diverso. La Ue che accoglierà Kiev si sposterà a est: l'Ucraina è un Paese enorme, il doppio della Germania, ci saranno miliardi e miliardi per la ricostruzione. Un'operazione più imponente che la ricostruzione nei Balcani o la riunificazione tedesca. Per la Russia molto dipenderà da come Putin riuscirà a chiudere il conflitto. Ma intanto è certo che i piani cinesi su Taiwan saranno diversi da quelli russi in Ucraina: presumo che sceglieranno la strada dell'accerchiamento e non dell'invasione. Nel frattempo l'India, dove saggiamente è Giorgia Meloni in questi giorni, e il Medio Oriente acquisiranno un ruolo sempre maggiore. Per gli Usa invece sarà fondamentale capire se correranno i due leader dell'altra volta, cioè Trump e Biden, o ci saranno i candidati più giovani. Tra i repubblicani ad esempio si stanno scaldando Nikki Haley e Ron De Santis».

La ha infastidito o lusingato essere diventato l'Uomo Nero della campagna di Schlein? Che effetto fa essere il bersaglio di una sorta di «cancel culture» anti-liberale del suo ex partito?

«Nessun fastidio nè lusinga. Al massimo la consapevolezza che abbiamo davvero cambiato - per qualche anno - la storia della sinistra in Italia. Eravamo per lavoro, libertà, diminuzione delle tasse, infrastrutture, per i diritti civili ma anche i doveri civili. Abbiamo fatto la differenza perché se per definirsi, dieci anni dopo, devono fare a gara a chi prende più le distanze da me significa che siamo stati un riferimento vero. Elly oggi vuole rimuovere il renzismo. Bene. Vengono meno tutti gli alibi. I riformisti devono trovarsi un'altra casa. E lo faranno già dalle europee 2024, dove magari il Pd riprenderà qualche punto a M5s».

A proposito di cancel culture, cosa pensa del surreale dibattito sul censurare o meno i libri, il linguaggio, la ricerca accademica, l'arte, la storia?

«La giudico una follia. Cambiare i termini dei libri per sembrare più coerenti con il pensiero contemporaneo non significa garantire i diritti di qualcuno, significa distruggere la cultura di tutti. Per me la cancel culture è il male più insidioso del nostro tempo perché distrugge la nostra identità. È un atto talebano, come quando gli studenti islamici afghani hanno distrutto le statue del Budda. Chi vuole impedirci di leggere Shakespeare o Dante è talebano dentro».

È di ieri la notizia che Conte, con Speranza e Fontana, è indagato per la gestione delle zone rosse e dell'epidemia Covid. Una gestione che anche lei ha duramente criticato: è soddisfatto?

«No, non sono soddisfatto. Io sono garantista davvero, e quindi una indagine non mi provoca alcun sentimento positivo. Spero che sia accertata la verità. E spero che i grillini capiscano che un avviso di garanzia è un atto dovuto, non una sentenza di condanna. Quante volte hanno chiesto le dimissioni, scatenato campagne di odio vergognose per fatti di minore importanza di quelli contestati a Conte, massacrato famiglie per bene? I Cinque Stelle chiedono sempre le dimissioni, ogni volta che arriva un avviso di garanzia. Adesso a chi le chiedono? A Scarpinato o a Travaglio? Resta il fatto che nessuna indagine penale fa venire meno la necessità impellente di una commissione di inchiesta sul Covid, a cominciare dagli acquisti di mascherine e ventilatori».

Vuol tirare un primo bilancio del governo Meloni, punti deboli e punti di forza?

«Va meglio all'estero che in Italia ed è un paradosso. Deve recuperare terreno in Europa, anche oltre il Ppe, e deve tornare a dialogare con Macron ma sono sicuro che lo farà. Delusione totale invece sui dossier interni: i progetti di riforma di diversi ministeri mi sembrano evanescenti e più legati a slogan che alla sostanza. Su giustizia e difesa sono più ottimista. Ma giudicheremo lo stile concreto di Giorgia Meloni molto più sulle nomine, di qui a qualche settimana, che non sui retroscena di palazzo. È presto comunque. È appena arrivata, ci attendono anni: noi la incalzeremo sulle cose concrete senza pregiudizi ideologici».