Matteo Renzi sul Riformista: Giorgio Napolitano

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L'articolo di Matteo Renzi sul Riformista del 23-09-2023

È il 12 ottobre del 2013. È sera. Sono alla guida della mia macchina tra Firenze e Pontassieve. Accanto a me mia moglie è al telefono con i bambini, per dire: "Stiamo arrivando" Ho appena annunciato la mia candidatura alla guida del Partito Democratico, a Bari. Finita la manifestazione pugliese ho preso l`aereo e appena sceso a Peretola vedo che un numero continua a chiamarmi con una certa insistenza. Non lo riconosco. Non rispondo. Ho la testa indirizzata alla campagna delle primarie, ma soprattutto penso ai miei impegni di sindaco. Scambio qualche impressione sull`evento con Agnese mentre arriviamo a casa dall`aeroporto. E intanto quel numero continua a squillare. Mi domando chi possa essere così insistente da chiamare in modo continuato per quasi un`ora. Oh ma questo insiste, dico ad Agnese. Figurati se rispondo a uno sconosciuto, sarà la redazione di un giornale più insistente delle altre visto che è il numero ha un prefisso romano. Capirò solo alla fine che quel numero - che imparerò a riconoscere - è il centralino del Quirinale. Giorgio Napolitano, proprio lui, mi cerca. Indispettito. A Bari infatti ho detto che sono contro un provvedimento di amnistia. E lui non l`ha presa benissimo (eufemismo!) e mi vuol far notare che la situazione carceraria esplode. Quando alla fine mi decido a rispondere al telefono, il Presidente mi parla per dieci minuti della necessità dell`amnistia. E mi invia a Palazzo Vecchio il testo del suo messaggio alle Camere con tanto di sottolineature a fianco.

 

Nel merito avevamo ragione entrambi, credo.

 

L`amnistia non sarebbe stata accettata in quella fase politica e avrebbe prodotto più costi sociali che benefici. Ma le prigioni in quel momento scoppiavano e il paradosso è che sarà proprio il mio Governo l`anno successivo ad attuare una serie di misure deflattive della permanenza in carcere, senza però toccare il tasto amnistia o indulto. Ma non è del merito che voglio parlarvi. È che per me Giorgio Napolitano era questo. Uno che su tutti i dossier importanti, si faceva sentire. Ti costringeva a studiare, a stare sul pezzo, a non rispondere in modo superficiale. Adesso che ci ha lasciato posso confessare che ho vissuto i primi incontri con lui come fossero esami. Io difficilmente mi preoccupo prima di incontrare chicchessia. Ho un carattere deciso, sono consapevole delle mie idee. E se è vero che il Quirinale mette soggezione a chiunque - e del resto non potrebbe essere diversamente vista la storia di quel Palazzo - è vero che quando ho varcato le porte di quello straordinario edificio non mi sono mai sentito a disagio con Ciampi o con Mattarella. Con Napolitano, invece, era sempre un esame, specie all`inizio. Come quando - la settimana prima di ricevere l`incarico - vengo invitato a una cena informale dal Presidente. Sono a giocare alla playstation con i miei figli. Vedo il solito 06 con il numero corto. Riconosco il centralino del Quirinale. E rispondo subito stavolta, anche perché sto perdendo talmente male a Fifa contro i pargoli che prendo il telefono come una boa cui aggrapparsi per scappare da un naufragio (calcistico) imminente. E sabato e il Presidente mi invita a cena per il lunedì successivo, assieme al Premier Enrico Letta. Auspica evidentemente un chiarimento informale. A metà del pomeriggio del giorno della cena mi chiama Napolitano e mi spiega che ha deciso di non invitare Letta alla cena. Saremo solo noi, a casa. E la serata diventa l`ultimo esame prima di attribuirmi la responsabilità di formare il nuovo Governo.

 

Era davvero sempre un esame con lui. Come quando - ero già Premier - siamo sul divano del suo studio e a bruciapelo mi chiede se conosco quale sia l`unico atto che è sottratto alla reciproca controfirma. Tentenno. Faccio mente locale. Ripasso in un attimo gli esami di Diritto Pubblico, Costituzionale, Diritto parlamentare. Non mi viene in mente. Mi arrendo. E lui soddisfatto mi guarda e mi dice: le mie dimissioni. Quando ti dimetterai tu, il Presidente della Repubblica sarà chiamato alla controfirma. Ma le dimissioni del Presidente della Repubblica non richiedono la controfirma del Presidente del Consiglio, sappilo. Il messaggio era chiaro. "Caro Matteo, non insistere cercando di prolungare la mia permanenza, qui. Ormai ho deciso di andarmene." Effettivamente volevo che Napolitano arrivasse a inaugurare lui l`Expo nel maggio 2015. Ma dopo il dolore che aveva provato nel prepararsi all`interrogatorio dei PM di Palermo nell`ambito della c.d. Trattativa, un processo finito ovviamente nel nulla come molte iniziative dei professionisti dell`antimafia, Giorgio aveva deciso di dimettersi. Me lo disse subito dopo l`interrogatorio. Era ancora l`autunno del 2014. "Ti lascio finire il semestre di presidenza europeo perché devi portare a casa la flessibilità per il Paese" mi disse "ma quando scade il semestre io me ne vado". Un brivido mi passò lungo la schiena. Avevo il problema di terminare il percorso delle riforme e Berlusconi sembrava convinto ad andare avanti. Ma sapevo che sull`elezione del nuovo Presidente con Forza Italia non sarebbe stato facile trovare un punto di equilibrio perché dentro l`allora inner circle di Berlusconi e nel mondo dalemiano del PD in tanti aspettavano l`elezione del Capo dello Stato (che si preannunciava difficilissima dopo il suicidio politico di Bersani con i 101) per regolare i conti con me e far saltare anche il Nazareno. Volevo fare di tutto per convincere Napolitano a rinviare le dimissioni a maggio: in quel caso avrei chiuso la riforma elettorale e il passaggio decisivo della riforma costituzionale con l`appoggio anche di Forza Italia. Napolitano fu irremovibile. Aveva deciso. Il 13 gennaio 2015 al mattino parlo a Strasburgo chiudendo il semestre di presidenza iniziato nel nome di Telemaco. 1113 gennaio 2015 al pomeriggio Jean Claude Junker annuncia la flessibilità per 30 miliardi di euro, operazione che salva il bilancio italiano e al quale avevamo lavorato con i ragazzi di Palazzo Chigi e del MEF per mesi. I114 gennaio 2015 Giorgio Napolitano si dimette. Puntuale come un orologio svizzero. Non tocca a me dare un giudizio "storico" alla Presidenza Napolitano. Sarà interessante nel corso degli anni cercare di capire di più e meglio alcune scelte. E anche il suo modo di intendere l`istituto stesso

della Presidenza. L`Italia ha una Costituzione che è già nella sostanza semipresidenziale. Se il Presidente intende utilizzare in modo estensivo i propri poteri, su molte cose il suo apporto è decisivo. Non condivido il giudizio di quella destra che accusò Napolitano di aver valicato i propri poteri. Chi conosce la Costituzione sa che i poteri del Presidente variano "a fisarmonica": si allargano e si restringono sulla base delle scelte dello stesso Presidente. In alcuni passaggi l`impatto del Quirinale si è sentito molto, moltissimo. In altri meno. Io penso che su un paio di passaggi, soprattutto nei primi anni degli anni Dieci, Napolitano abbia avuto un ruolo decisivo nell`indirizzo dello Stato. Erano i momenti della rottura con Berlusconi, dalla Libia allo spread. Si può comprensibilmente discutere della bontà politica di quelle scelte, non della loro legittimità che è fuori discussione. Abbiamo una Costituzione in cui i poteri del Presidente della Repubblica sono enormi, piaccia o non piaccia. Quando non sono esercitati è per scelta del Presidente di turno. Inutile aggiungere che sul rapporto Berlusconi Napolitano potrebbero essere scritti libri. La loro rottura fu durissima e Forza Italia ha spesso accusato il Presidente di aver agito contro il Cavaliere quantomeno nel 2011. E ciò nonostante 1 Berlusconi voterà Napolitano nel 2013, per la rielezione. Rapporti complicati ma sempre aperti fin dal 1994: Berlusconi appena nominato aveva rotto il protocollo andando da Premier tra i banchi dell`opposizione per stringere la mano proprio all`allora capogruppo PDS, si dice su suggerimento di Giuliano Ferrara. Tengo per me - come è giusto - tanti ricordi belli. Le risate sui nomi che si aspettavano di essere candidati come Presidenti al posto suo. I suggerimenti di politica estera. Le battute ammirate sulla liturgia della Chiesa Cattolica durante una cerimonia in Vaticano ("Vedi loro hanno un`attenzione alle forme liturgiche bellissima. Sono meglio di noi su questo" e confesso che non ho avuto il coraggio di chiedergli se per noi intendesse il cerimoniale del Quirinale o più probabilmente l`antica liturgia della chiesa comunista). L`orgoglio per il lavoro con la Regina Elisabetta e Barack Obama. I suggerimenti sul come evitare di litigare troppo con la Casa Bianca su alcune piccole/ grandi questioni di merito. La passione per l`Europa, autentica, profonda, genuina. Le battute su qualche ambasciatore/ambasciatrice. La foto insieme nell`ufficio del Governo a Montecitorio mentre attendiamo l`elezione di Sergio Mattarella al quarto scrutinio. Il primo pranzo fuori dal Quirinale, a Casa Bleve. E spesso il riferimento all`età: ma ti rendi conto che hai esattamente cinquant`anni meno di me? Lui del 25, io del 75. Le reprimende invece sono pubbliche. Quella sull`amnistia, in primis. Ma anche l`inter- vento che Napolitano fece come Presidente del Senato nella prima seduta della scorsa legislatura dove riservò parole molto dure alla leadership del PD, cioè al sottoscritto. Sono in Aula e mi viene da sorridere pensando a come Napolitano sia sempre Napolitano. E anche in quella prima seduta della Legislatura non perda i tratti distintivi del proprio carattere. Mi giro verso Bonifazi e Faraone, che vengono dal PCI-PDS-DS e sussurro sorridente con la mano davanti alla bocca come fanno i calciatori: "il compagno Napolitano ha fatto l`analisi della sconfitta." Abbiamo lungamente discusso anche sui ministeri. Ma in quel caso non parlerei di litigio o reprimenda: era una normale dialettica costituzionale. Il Presidente della Repubblica ha tutto il diritto di sindacare le scelte dei singoli ministri, piaccia o non piaccia. La sconfitta referendaria segna invece profondamente il nostro rapporto politico: lui credeva alla necessità assoluta delle riforme costituzionali. E quando diventa chiaro che il referendum non sarebbe passato accusò il colpo più di me: tu forse farai in tempo a vedere la riforma, io ormai non più, mi disse. Ma il ricordo più bello dell`ultimo periodo è di natura personale. Dopo l`operazione gli porto un biglietto a mano di Obama. Sono in Sudafrica a un evento con l`ex Presidente. Sono i giorni di un vertice Putin Trump e Obama mi appare molto colpito da quell`incontro. Chiacchieriamo di tutto, persino dei Cinque Stelle. Poi gli dico: Napolitano sta male, gli scrivi due righe? Non devo ripeterglielo. Impugna la penna a sinistra, come sempre, e scrive al carissimo Giorgio. La stessa disponibilità che Napolitano ha quando gli chiedo di firmare una dedica a mia figlia. Ritroviamo una bella foto del grande Tiberio Barchielli con Ester che - elegante e soddisfatta - stringe la mano al Presidente davanti allo sguardo affettuoso di Agnese. Napolitano non si fa pregare: "Un augurio affettuoso alla bella Ester". E il giugno del 2019. La firma è incerta, la mano malferma. Ma il Presidente è sempre lui. Ho ripreso la foto stasera. È in camera di mia figlia, accanto a quella di Michelle Obama, tra i ricordi belli. Ed è tra i ricordi belli che resterà per me Giorgio Napolitano. Che la terra ti sia lieve, caro Presidente.