Renzi: “Chi voleva far cadere Draghi ha perso"

Le attività ed i successi che portiamo avanti dipendono dall'impegno di ognuno di noi. Ogni contributo è importante.
dona italiaviva

Intervista di Fabio Martini, “la Stampa”, 15 giugno 2022.

Matteo Renzi, protagonista di esperienze e stagioni assai diverse tra loro, è pronto a ripartire per una nuova avventura, dice di puntare su un nuovo soggetto, il Centro riformista, per il quale propone un ruolo di primo piano per il sindaco di Milano Giuseppe Sala; esclude agguati sul cammino di Mario Draghi e anzi vaticina per lui lunga vita, in questa e nella prossima legislatura, e invece prevede vita brevissima per i Cinque stelle: nel prossimo Parlamento non ci saranno.

Cosa è cambiato, non retoricamente, nella politica italiana dopo questa tornata elettorale-referendaria? Nessuno oserà far cadere il governo ma tanti tireranno la corda, senza spezzarla, indebolendo Mario Draghi?
«Secondo me quelli che volevano tirare la corda a Draghi hanno perso. Il premier è più forte di prima, altro che storie. Meglio così. Ci attendono mesi di fuoco, a cominciare dall'inflazione e dalla perdita di potere d'acquisto. Serve un grande patto sociale per l'Italia, non il logoramento di Draghi».

Spread, recessione, inflazione: c'è il rischio che qualche apprendista stregone - Salvini, Conte e chissà chi altro - si bruci la mano?
«Sì. Vedo troppi nuvoloni all'orizzonte sulla scena economica internazionale. Finché si brucia la mano un Conte o un Salvini, va bene. Se si brucia la mano il ceto medio e la povera gente è un problema enorme. Il rischio è che bruci la casa comune e questo mi preoccupa».

I successi, sparsi e isolati, di liste e candidati di Italia Viva e Azione, hanno creato la solita suggestione mediatica: al Centro, al Centro! Ammesso e non concesso che vi uniate, il Centro riformista in che modo potrebbe cambiare il corso della politica italiana?
«In Francia Macron ha fatto questo, ma si è servito di un modello istituzionale - quello del ballottaggio - che purtroppo l'Italia ha respinto, cancellando la nostra riforma. Senza doppio turno è meno facile, ma è comunque possibile. Un Centro riformista che dica no ai sovranisti e no ai populisti è non solo possibile ma anche strettamente necessario».

Se lei ci crede davvero perché non fa - qui ed ora - una proposta operativa, disinteressata e senza tatticismi?
«Perché è ancora presto. A tempo debito sarà naturale per tutti abbandonare gli egoismi e costruire una casa comune che vada a doppia cifra. Chi per piccole ambizioni personali blocca questo processo si assume la responsabilità di consegnare il Paese ai populisti».

Un Centro Renzi-Calenda (e magari Carfagna) in alleanza col Pd che potenzialità numeriche avrebbe? Non pensa che come polo autonomo avrebbe numeri più larghi?
«È chiaro che un terzo polo equidistante, numericamente sarebbe più forte di uno schieramento alleato con il solo Pd. Ma ogni scelta oggi sarebbe davvero fuori tempo: verrà il momento di decidere. Nel frattempo aggiungerei alcuni nomi a quelli che lei ha fatto. Ad esempio uno come Beppe Sala in questa partita può stare da protagonista. E con lui tanti amministratori locali riformisti. Un contenitore modello "Renew Europe" può essere la casa di molti».

Chi conosce bene Calenda è pronto a scommettere: non farà mai e poi mai un accordo con nessuno e tanto meno con lei: il suo vero obiettivo è replicare il modello Roma. Le pare fattibile?
«I numeri sono argomenti testardi. I candidati civici sono andati bene ma la lista di Azione da sola non va molto lontano. Anche dove i candidati sindaci vanno bene, il risultato di Azione non è trascendentale: 4% all'Aquila, 8% a Palermo, 1% a Verona. In totale, Azione ha eletto meno sindaci e meno consiglieri di Italia Viva. E se parliamo di Roma, i primi due eletti della lista Calenda - primo e secondo - sono due di Italia Viva. Insomma l'accordo riformista serve a tutti, anche a Calenda».

Se uno le dicesse: il suo vero obiettivo - da quel che trapela da buone fonti - è fare un accordo separato col Pd di Letta e magari qualche pourparler lo avete pure fatto...
«No. E del resto se questo fosse stato l'obiettivo, a Genova non avrei fatto campagna per Bucci in modo trasparente e appassionato. A Letta ho detto chiaro, in faccia, che la partita di Palermo l'ha persa male il Pd, seguendo i grillini e perdendo un comune che era rimasto nostro persino cinque anni fa. Spero che non faccia lo stesso errore per le Regionali. Come vede massima trasparenza e nessun accordo sotto banco. Anzi le dico una cosa in più: non vedo Damiano Tommasi da anni e da quando si è impegnato in politica non l'ho mai sentito. Ma se fossi veronese, al ballottaggio voterei per lui. Ero convinto che il sindaco migliore fosse Tosi. Ora che Flavio è fuori dal ballottaggio faccio volentieri endorsement per Tommasi, senza chiedere nulla. Per me la politica è seguire un'idea, non inseguire una poltrona».

Ma non trova che i Cinque stelle così deboli sono molto più "malleabili" di un tempo? Oggi lei porrebbe una pregiudiziale: o noi o loro?
«La verità è che noi alle prossime elezioni ci saremo, loro no. Hanno trovato il modo migliore per rispettare il limite dei due mandati: andranno a casa tutti».

Per un cittadino comune, l'unica preoccupazione è capire come si rapporteranno rispetto al governo: lei esclude che ad un certo punto possano scartare e uscire?
«Uscire dal governo vorrebbe dire elezioni anticipate. Molti di loro dovrebbero tornare a lavorare e qualcuno dovrebbe buttarsi sul reddito di cittadinanza. Io scommetto che faranno tanto fumo e niente arrosto».

Se fra 10-11 mesi il centrodestra non conquisterà la maggioranza assoluta, sarà ineluttabile bussare di nuovo a casa Draghi?
«Sarebbe positivo ma è ancora troppo presto per parlarne. Ora concentriamoci sul presente».

Un referendum fallito può diventare un boomerang, anziché un acceleratore: ripensando al suo quesito sul reddito di cittadinanza, disposto a ragionare su quel rischio?
«Abbiamo tempo fino a inizio ottobre, poi dovremo partire con la raccolta. Io sono convinto che il gioco valga la candela, ma lo decideremo tutti insieme. Fa male che si debba fare un decreto flussi per far venire lavoratori migranti in Italia, come proposto dal ministro del Turismo leghista, solo perché il reddito impedisce di trovare personale: non è una misura che combatte la povertà ma al contrario conferma in stato di povertà e assistenzialismo tante persone che potrebbero lavorare».

Sulla riforma Cartabia, se voi tenete il punto, non c'è il rischio di andare alle calende greche?
«Non credo. Ma questa riforma non mi preoccupa: non è dannosa. Solo drammaticamente inutile. Nelle prossime ore parleremo col governo e decideremo cosa fare».