Renzi: "Dopo che fare? C'è una sola via, Stati Uniti d'Europa"
Intervista di Piero Sansonetti, "il Riformista", 23 marzo 2020.
In questa intervista al Riformista, Renzi giura fedeltà al governo ma rivendica il diritto a “pensare”, a cri- ticare e a dissentire. La targhetta “non disturbare il manovratore” – dice – sta bene negli autobus, non in Parlamento. Al momento, continua, ci sono tre trincee: quella sulla frontiera della sanità, quella sulla frontiera dell’economia e quella sulla frontiera delle istituzioni. Bisogna difenderle con tutte le forze per battere il virus, per evitare la catastrofe economica, per impedire che la democrazia arretri. Poi bisognerà parlare di riforme istituzionali (repubblica presidenziale) e di Stati Uniti d’Europa.
Lei, come spesso succede, è molto attivo. Dicono che si senta spesso con Salvini. Ha intenzione di far cadere il governo?
In questo momento, tutti dobbiamo sostenere il governo.
Non c’è, invece, bisogno di un governo nuovo, di una maggioranza più larga, magari di unità nazionale?
In questo momento c’è bisogno di bloccare il virus, di contenerlo, di impedire che vada al Sud. E poi c’è bisogno di aiutare i medici e il personale sanitario, e di fronteggiare il momento drammatico per le aziende. Capisce bene che la priorità è quella di impedire che il governo si indebolisca.
Bisogna aiutarlo?
Sì, però il governo deve mettersi in condizione di farsi aiutare. La scena di sabato sera non è stata bella. La comunicazione istituzionale è una scienza, non è improvvisazione, e la crisi è molto seria: siamo di fronte a una pandemia, non siamo di fronte al Grande Fratello. Conte deve capirlo. Le conseguenze di questo dramma saranno gravissime, sia dal punto di vista sanitario che dal punto di vista economico. Ci attende una lunga marcia.
Anche dal punto di vista politico ci saranno, immagino, conseguenze. Stiamo vivendo un momento di vera e propria sospensione della democrazia e del sistema delle libertà. Non c’è il rischio di ricadute permanenti?
È per questo che insieme ad altri sto chiedendo che si riapra il Parlamento e che Conte venga in aula. L’esercizio della critica, anche in questa fase, non è soltanto legittimo ma è doveroso e utile. Non è un traditore della patria uno che esprime dei dissensi. Io penso che sia giusto, vista la violenza del virus, limitare alcune libertà in modo transitorio: a condizione che queste misure siano spiegate, motivate, illustrate in Parlamento. Se mi dici che devo rinunciare ad alcuni diritti costituzionali hai il dovere di motivare questa scelta e di sottoporla al dibattito parlamentare. Sostenere il governo non vuol dire rinunciare a esistere e a pensare, non vuol dire mandare il cervello all’ammasso. A quelli che dicono che dobbiamo stare tutti zitti e buoni e non dobbiamo disturbare il manovratore io rispondo che “non disturbare il manovratore” è una targhetta che sta bene sul bus, non in Parlamento. Spero che giovedì Conte sia in aula per riferire al Parlamento: io intendo ascoltarlo e poi prendere la parola per esprimere i dubbi, se ci saranno, e offrire suggerimenti, consigli, critiche.
Nei giorni scorsi lei ha posto il problema delle carceri e dei diritti dei detenuti. Sa che è un tema al quale questo giornale è attentissimo. Oggi ne ha parlato anche il presidente Mattarella.
Sono contento che ne abbia parlato il presidente della Repubblica. Il problema delle carceri è prioritario. Non è solo una questione, comunque rilevantissima, di garantismo. È una questione di legalità e di coerenza. Noi non possiamo disinteressarci al fatto che 13 persone che erano state consegnate alla custodia dello Stato abbiano perso la vita, mentre erano detenute, in circostanze violente. E non possiamo neanche disinteressarci al problema del sovraffollamento, perché anche quello non è un problema umanitario, è un problema costituzionale.
Per affrontare il problema del sovraffollamento il nostro giornale, insieme alle Camere penali, ha chiesto al governo un decreto che consenta la scarcerazione di tutti i detenuti che sono in cella per scontare una condanna inferiore ai due anni. Sono circa 17mila. E poi si potrebbero scarcerare anche quelli che hanno un residuo di pena inferiore ai due anni. Lei è d’accordo con questa proposta?
Io penso che il ministro Bonafede abbia il dovere di venire in Parlamento e dirci in che modo intende risolvere il problema del sovraffollamento. Non voglio fare io una proposta né aderire ad altre proposte, perché so che quando una cosa la dico io vengo subito considerato un attaccabrighe. Dico a Bonafede: devi – devi – venire in Parlamento e dirci come vuoi affrontare un problema di legalità. Il governo ha disposto che in tutto il Paese si debba stare sempre a un metro di distanza l’uno dall’altro. In carcere, con le celle stipate, questo non è possibile. Il governo non può violare le stesse regole che ha dato. Bonafede deve dirci come intende attuare le decisioni del governo ed eliminare il sovraffollamento nelle prigioni. Non gli va bene la soluzione del Riformista e delle Camere penali? Ne trovi un’altra.
E se Bonafede non verrà in aula?
Chiederemo ai presidenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato di convocarlo. Dopodiché nessuno pensi che noi ci siamo dimenticati dei 13 morti in prigione. È stato un fatto gravissimo. Senza precedenti. Che evoca passati scenari sudamericani. Noi vogliamo sapere esattamente cosa è successo, e chiediamo che sia rimosso immediatamente il capo del Dap. Non può restare al suo posto un minuto di più. Noi non facciamo una polemica politica col ministro della Giustizia, d’accordo? Però il capo del Dap deve lasciare il suo posto.
Parliamo del dopo-virus. Sarà necessario un grande colpo di reni. La politica di oggi sarà in grado? Potremo ancora affidarci al governo Conte o dobbiamo pensare a qualcosa di assolutamente nuovo? Non credo che sia presto per dirlo. Nel 1941, quando i nazisti dominavano l’Europa, c’era un professorino al confino a Ventotene, si chiamava Altiero Spinelli, che già pensava al dopoguerra e disegnò perfettamente un progetto di Europa unita…
Beh, nessuno di noi è Spinelli. Però il paragone è suggestivo. Proprio perché io sono convinto che l’unica risposta strategica alla crisi del Coronavirus siano gli Stati Uniti di Europa. Non c’è nessun’altra via per rilanciare il ruolo del nostro continente e per affrontare la crisi della politica. La via non è certo quella dei sovranismi, lo si è visto bene in questi giorni.
Però non è una prospettiva immediata. E intanto?
Intanto ci sono tre problemi urgenti: la tenuta sanitaria, la tenuta economica e la tenuta istituzionale. Sulla tenuta sanitaria mi pare che qualcosa si stia facendo, ora vediamo se reggeettersi a discutere di quali cose non abbiano funzionato e perché e per colpa di chi, credo che sia profondamente sbagliato. Lo dico io, potete fidarvi… Rafforziamo la diga. La diga è fatta dai provvedimenti del governo e dalla incredibile forza e generosità del personale sanitario. Poi c’è la questione della tenuta economica. Dobbiamo capire cosa dobbiamo fare adesso e cosa dobbiamo fare dopo. E accertare le responsabilità. Ci sono cose poco chiare. Ad esempio: perché abbiamo chiuso le fabbriche e tenuto aperta la Borsa? Mi chiedo chi controlla la Consob. Vorrei che Savona rispondesse. Dopodiché ragioniamo sul domani: le previsioni sono drammaticissime. La Germania prevede una caduta economica tra il 7 e il 20 per cento. Figuriamoci cosa può succedere in Italia. Dobbiamo pensare a misure shock per la ripartenza del Paese. Io non dico qual è la formula di governo. Dico che occorre una politica che non si accontenti di mezze misure. La reazione deve essere decisa e immediata. Noi non vogliamo morire di coronavirus ma non vogliamo nemmeno morire di fame. Terzo punto, la tenuta democratica e istituzionale. Tre cose urgenti: dimissioni al Dap, dimissioni in Consob e riapertura del Parlamento. E subito dopo bisogna pensare alle riforme politiche e istituzionali necessarie per il futuro.
Quando riprende tutto, sarà un’altra stagione politica. Avrà ancora un senso Italia Viva?
Ci sarà molto bisogno di un’Italia che rimanga viva. E anche di un’Italia Viva.
D’accordo, però forse ci sarà da ripensare a tutto il sistema dei partiti. Bisognerà prendere atto del fatto che la terza repubblica è fallita. La prima ha avuto successo, la seconda così così, la terza un fallimento…
C’è un elemento chiave. Il nostro sistema istituzionale ha bisogno di una catena di comando. Non c’è solo il problema che qualcuno usa la comunicazione istituzionale come in un reality show. Quello è un problema legato alle persone. C’è un problema di confusione istituzionale e di debolezza dell’autorità. Pensi alle incredibili discussioni tra Palazzo Chigi e le Regioni, su competenze e poteri. Quanti danni stanno provocando? Lei sa che avevo proposto una riforma del famoso Titolo V della Costituzione, quello sulle autonomie. E sa come è andata a finire. Vogliamo riprenderla quella discussione? E se la riprendiamo poniamoci anche il problema della definizione della autorità. C’è un problema di leadership deboli, sicuramente, ma anche di istituzioni deboli e di debolezza dei meccanismi istituzionali.
Lei è favorevole alla Repubblica presidenziale?
Chiamiamola presidenziale, o semi-presidenziale, o parliamo di elezione diretta del Presidente. Non ne faccio una questione di formule. Ma una riforma in quel senso è urgente.