Renzi: "Dopo il voto il terzo polo sarà decisivo. Sulle riforme pronti al dialogo con tutti"
Intervista di Pietro Piovani, “il Messaggero”, 25 agosto 2022.
Una campagna elettorale tutta incentrata su tagli fiscali, bonus, aumenti della spesa pensionistica. Eppure per l'Italia si prevede una stagione difficile, se non addirittura drammatica, come ha sottolineato anche Draghi a Rimini. C'è qualcosa che non torna nei messaggi dei partiti agli italiani. «La verità è che siamo davanti a una campagna elettorale ipocrita» dice Matteo Renzi, fondatore di Italia Viva. «Guardi ieri: tutti a spellarsi le mani per Draghi. E applaudono proprio quelli che un mese fa lo hanno mandato a casa, facendoci precipitare nella campagna elettorale più pazza degli ultimi anni. La destra ha sfiduciato Draghi, la sinistra candida chi ha votato 55 volte contro Draghi, di Conte inutile parlare: gli unici che hanno sempre sostenuto il premier siamo noi con Calenda, altro che storie. Il tono dei partiti deve cambiare, certo: ci vuole serietà. Per adesso siamo gli unici a praticarla».
Qual è la ricetta giusta contro il caro-energia? La richiesta di un tetto europeo al prezzo del gas basta? L'ipotesi di prezzi amministrati è praticabile?
«Noi abbiamo formulato una proposta e Calenda l'ha spiegata in un video di cinque minuti. In soldoni: lavoriamo al tetto europeo del gas. Ma nel frattempo per alcuni settori dell'economia garantiamo prezzi amministrati. Questo impone un ruolo del Gse e un investimento di dieci miliardi ma si può fare. Le idee strampalate dei Verdi o della Lega su questi temi non stanno in piedi. Prima di parlare dovrebbero scusarsi per averci diffamato sul Tap, sulle trivelle, sui termovalorizzatori. Noi siamo credibili, loro no».
Sulle sanzioni alla Russia come risponde a chi, come Salvini, dice che stanno impoverendo più l'Europa della Russia? Come aiutare le aziende italiane che esportavano e che stanno pagando da mesi un prezzo altissimo?
«Le sanzioni vanno confermate. E però va istituito un fondo per risarcire le aziende più colpite dalla perdita di rapporti con la Russia. Il 25 febbraio, giorno dopo l'invasione, ho proposto un fondo simile a quello per le aziende colpite dalla Brexit. Serve qualcosa di simile e sostanzioso».
Cosa pensa della polemica sulla parola "devianze" cui abbiamo assistito in questi giorni?
«Che Meloni e Letta fingono di litigare, ma in realtà vanno d'accordo. Si accapigliano su questioni che affascinano i rispettivi elettorati: esaltano le loro curve ma nessuno parla alle tribune centrali. Discutere sulla etimologia del concetto di devianza mentre hai guerre, inflazione, scontro geopolitico sul cibo è imbarazzante. Ma Meloni aiuta Letta a fare il capo dell'opposizione. Mentre Letta ormai da un mese lavora a tempo pieno per il successo della destra: si chiama Enrico ma sembra Gianni. Del resto ha iniziato la campagna elettorale proponendo di aumentare le tasse: quale miglior regalo alla destra?»
Con un governo di centrodestra, pensa che si potrebbe tornare indietro sui diritti civili introdotti negli anni passati? Può cambiare qualcosa per una donna che deve abortire, per una coppia omosessuale? Si potrà mai fare una legge sul fine vita?
«Non credo a passi indietro sui diritti. Per la legge sui diritti civili ho rischiato tutto mettendoci la fiducia: nessuno la toccherà. Quanto alla legge sul fine vita credo che non sia né di destra né di sinistra ma semplicemente una legge necessaria. Il problema è come tenere insieme libertà e responsabilità ponendo attenzione alle gravi questioni filosofiche e morali che la morte sempre pone davanti a noi. Serve dialogo su questi temi: chi li trasforma in vessilli di partito sbaglia perché allontana la possibilità di una buona legge. Che su questi temi va fatta assieme».
Dopo il voto, sarete disponibili ad aprire il confronto con il centrodestra su una riforma costituzionale?
«Certo. Anche perché serve all'Italia. Ma per essere chiari noi siamo pronti ad aprire il confronto con tutti, non solo con la destra. Ho perso Palazzo Chigi perché ritenevo le riforme fondamentali. Oggi lo penso più di ieri. E credo che con me lo pensino tanti italiani».
Se dalle urne non uscisse un risultato netto, potreste entrare in una maggioranza con il centrodestra? Anche se ne facesse parte Fratelli d'Italia?
«Noi entreremo in qualsiasi maggioranza che abbia come premier Mario Draghi. Saremo all'opposizione, invece, di una qualsiasi maggioranza che abbia come premier Giorgia Meloni».
Quanto le è costato, anche personalmente, rinunciare alla Leopolda?
«Ho scelto di fare questa campagna elettorale mettendo al primo punto il progetto politico e solo in secondo piano il mio ruolo. Credo che il terzo polo potrà essere decisivo il 25 settembre ma sono addirittura certo che lo sarà sicuramente dopo. Si tratterà di costruire un'area culturale, attraendo talenti e competenza, diffondendo qualità e per farlo servirà il contributo politico, non solo elettorale, di tante persone che ruotano anche intorno a Italia Viva e alla Leopolda. Dunque la Leopolda si farà dopo le elezioni, senza alcun problema. Siamo solo all'inizio di questo grande sogno che è Renew Europe».
Azione e Italia Viva resteranno cartello elettorale o possono diventare un vero partito unitario? Che nome potrebbe avere e chi ne sarebbe il leader?
Decideremo insieme dopo le elezioni. Adesso tutti in campo con Carlo Calenda per ottenere il risultato migliore il prossimo 25 settembre. I nomi vengono dopo: prima le idee e il progetto. Abbiamo gettato un seme: ma è ancora lunga».
Con l'uscita di Pizzarotti e della sua componente, per questo nuovo polo si riduce la possibilità di parlare con i territori, con le città?
«Non direi, sono testimone diretto che con Federico eravamo d'accordo su tutto, documento politico e pluricandidature incluse. Nella notte poi è cambiato qualcosa ma credo che molti sindaci voteranno per noi anche se Pizzarotti non c'è. E poi li aspettiamo per il percorso successivo che si apre con la nuova legislatura. È stato un problema di posti, non di politica. Ma lo spazio ci sarà anche domani».
Nelle liste di tutti i partiti spuntano nomi imbarazzanti. Si poteva controllare meglio? È un effetto collaterale, forse inevitabile, di un sistema elettorale che di fatto obbliga a riempire le caselle delle liste elettorali con molte candidature solo formali, senza reali possibilità di elezione?
«Io sono per cambiare il modello e seguire il sindaco d'Italia. Così che ci sia più forte relazione tra governo e elettori. Tutto il resto è un deja vu stancante anche per gli addetti ai lavori, figuriamoci per i cittadini».
Quando lei era al governo diceva che, per ogni euro speso in politiche per la sicurezza, si doveva investire anche un euro in cultura. In questa campagna elettorale si sta parlando molto di sicurezza, ma la cultura?
«Abbiamo la destra che candida chi diceva che con la cultura non si mangia, vale a dire Tremonti, l'uomo che ha tagliato i fondi per la cultura a più riprese. Noi siamo quelli che portano risultati: dal principio della 18 app alla rivoluzione sui musei. Ma proprio perché siamo gli unici con le carte in regola dobbiamo parlarne di più. Togliendo però molta burocrazia: il mio amico Franceschini ha ricevuto tanti soldi da Palazzo Chigi quando eravamo al governo insieme. Ma non posso dimenticare che se le rinnovabili in questo Paese funzionano a un livello più basso del previsto è per colpa del veto di quelle sovrintendenze che una certa sinistra ha difeso e incoraggiato. Tra la destra di Tremonti e la sinistra della burocrazia siamo ancora noi a rappresentare una volta di più il terzo polo di chi investe sui libri, sul teatro, sul cinema. Un euro in cultura, un euro in sicurezza è per noi ben più di una norma: è un principio etico, che faremo di tutto per difendere».