Renzi: “Esiste un’area Draghi. A questo spazio dobbiamo dare un tetto”

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Intervista di Maria Teresa Meli, “Corriere della Sera”, 6 giugno 2022.

Matteo Renzi, crede che la tenuta del governo sia a rischio?
«No. È tutta scena che serve ai grillini per racimolare visibilità e qualche decimale nei sondaggi. La verità è che Conte ha una sola strada: se pensa che Draghi stia sbagliando sulla politica estera, il leader grillino deve chiamare Di Maio e chiedergli di dimettersi. Ma non lo farà mai. Perché Conte non ha un minimo di forza per fare questo passo e Di Maio prima di lasciare il governo è pronto a lasciare i Cinque Stelle. Per far schiodare Di Maio dalla Farnesina oggi non basterebbe la Folgore, figuriamoci se possono riuscirvi Conte e Casalino. Insomma, questa discussione è solo cinema di bassa qualità, tutta fuffa».

Dunque secondo lei Matteo Salvini e Giuseppe Conte il 21 giugno non strapperanno sull'Ucraina?
«No, è tutto solo uno show. Mi fa male vedere come la vicenda ucraina, drammatica e seria, sia trattata con superficialità solo per i sondaggi. L'invasione russa è un dramma epocale non solo per le vittime ma anche perché cambierà molto nella politica mondiale: nulla sarà come prima, dalle armi all'energia, dall'immigrazione al cibo, dalla Cina al nucleare. Davanti alla complessità di questi temi - con ricadute geopolitiche impressionanti, di cui nessuno vuole parlare sul serio - noi ci trastulliamo con piccole questioni di basso cabotaggio, come i comportamenti infantili di Conte e Salvini. Il 21 giugno non succederà nulla, ma che tristezza questa navigazione di basso profilo. Che tristezza per la politica italiana, dico».

Ritiene che ci sia un rinnovato asse tra Salvini e Conte?
«Per me sì. Ma questo asse nasce ben prima della guerra in Ucraina. Nel mio libro "Il Mostro" ho raccontato con dovizia di particolari il gioco di sponda che i due populisti hanno fatto durante la settimana per l'elezione del capo dello Stato. Evidentemente è come nella canzone: certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Vale anche per l'asse gialloverde. Salvini e Conte hanno cercato l'accordo su Frattini, su Belloni, su varie ipotesi: hanno fallito ma erano insieme, molto più di quanto volessero far credere».

Ci aspetta un anno di campagna elettorale?
«Purtroppo sì. Ma soprattutto ci aspetta un anno di inflazione e aumento del costo della vita. Per questo dico che l'unica strategia possibile è aumentare i salari smettendo la folle politica di sussidi cominciata con l'approvazione del vergognoso reddito di cittadinanza. Saranno undici mesi di ottovolante con tensioni geopolitiche globali e ripercussioni locali. A me interessa avere chiara la visione Paese. E sono fiero che a Palazzo Chigi ci sia Draghi e non Conte: non oso pensare che cosa sarebbe accaduto senza il cambio della guardia alla guida del governo».

In molti si chiedono che cosa voglia fare. Cercherà di dare vita a una nuova formazione di centro, come spera Clemente Mastella, o aspetta che il Pd si liberi del M5S per partecipare a un'alleanza riformista?
«È presto per dirlo. Purtroppo il fallimento della riforma costituzionale impedisce che il cittadino sia il vero arbitro del sistema e rimette il potere di creare maggioranza a chi è abile nella tattica parlamentare. Anche noi siamo abili nel gioco tattico, ma io preferirei giocare a viso aperto, con un sistema basato sul ballottaggio e l'elezione diretta del capo del governo. Ma finché gli altri partiti non capiranno che la riforma costituzionale serve al Paese, non a dare ragione postuma al sottoscritto, continueremo con questo sistema di veti. E se noi siamo stati decisivi con il 2% si figuri che cosa potremo fare se otterremo il 4% o il 5%. Se poi si creasse un sano contenitore riformatore - che non farebbe fatica ad andare a doppia cifra - tutto ciò sarebbe la salvezza per chi crede nella politica e non nel populismo».

I rapporti personali al centro, però, non sono idilliaci. Pensi a lei e Calenda. E poi c'è il problema di personalità come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna che non hanno ancora deciso di abbandonare Forza Italia.
«Eviterei di personalizzare. È un errore che abbiamo già fatto e che non vogliamo ripetere. Qui non si tratta di ragionare di nomi e cognomi ma di politica: c'è uno spazio che può salvare il Paese. È l'area Draghi, oggi, in Italia, ed è l'area Macron in Francia. È uno spazio che esiste. Non dare a questo spazio una casa e un tetto per mere ragioni di egocentrismo personale sarebbe folle e da irresponsabili. I prossimi mesi mostreranno chi è in grado di fare politica e chi invece vive di inspiegabili risentimenti, anche in questo centro riformista. Noi ci siamo con umiltà e determinazione».

Alle prossime elezioni potrebbe non esserci un vincitore e potrebbe nascere di nuovo un governo del presidente?
«È una ipotesi tutt'altro che azzardata ma è prematuro parlarne. Se il governo di oggi non darà risposte concrete a quello che l'ad di JPMorgan, Dimon, chiama "un uragano in arrivo" riferendosi a una tempesta economica di rara gravità, il governo di domani sarà saldamente nelle mani dei populisti. Occorre fare un passo alla volta: ora bisogna governare bene. Poi occorre dare un a tetto comune agli anti populisti. E infine costruire la maggioranza di governo 2023-2028, capace di mettere mano alla legislatura delle riforme».

Una riforma elettorale proporzionale è realisticamente ancora fattibile?
«No. In molti non la vogliono anche perché il proporzionale chiama le preferenze. E c'è gente in Parlamento che con le preferenze non viene eletta nemmeno nel condominio, figuriamoci se votano un cambio di legge adesso. Ma soprattutto non serve il proporzionale: serve il sindaco d'Italia. Chi vince governa per cinque anni. Altrimenti anche la prossima legislatura dovremo passarla a disfare governi pericolosi. Però serve coraggio istituzionale e capire che la riforma costituzionale è più necessaria che mai. Diciamo che vogliamo difendere la democrazia nel mondo. Bene. Iniziamo a curare la democrazia in Italia dando valore al voto degli italiani».