Renzi: «Meno tasse in busta paga, un aiuto ai giovani del Sud»

Intervista a Matteo Renzi per «Il Mattino» del 31-05-2024

di Adolfo Pappalardo

Il leader di Iv: «Così incentiviamo le nuove generazioni a non emigrare. Basta burocrati in Ue, Stati Uniti d'Europa vuole difendere le imprese, sì a Draghi».

Senatore Matteo Renzi, lei ha proposto un salario d'ingresso più che uno minimo come il Pd: di cosa si tratta?

«Un giovane laureato che entra nel mondo del lavoro, dopo anni di sacrifici e spese si ritrova con un salario d'ingresso nel mondo del lavoro, il primo stipendio, che è spesso sproporzionato rispetto al costo della vita. Questo non gli consente di essere indipendente, di acquistare una casa, di mettere in cantiere, se vuole, un figlio, di progettare il suo futuro. Magari sceglie di spostarsi e andare all'estero. Il dramma vero di questo Paese - e la vera ferita per il Mezzogiorno- non è l'immigrazione ma l'emigrazione. Per questo la prima preoccupazione che il governo dovrebbe avere è detassare il lavoro. Io feci gli 80 euro: oggi dico che ne servirebbero molti di più. Quanto al salario minimo, non sono contrario: semplicemente se farlo significa finanziarlo con le tasse dei contribuenti, magari con una patrimoniale, dico no».

"Ue o si cambia o si muore", dice lei: come?

«Il mondo va a fuoco. Guerre, dal medio oriente all'Ucraina, crisi, inflazione. E l'Europa è ininfluente. Servono gli Stati Uniti d'Europa: che vuol dire elezione diretta del presidente della Commissione e quindi più democrazia, abolizione del potere di veto che blocca qualunque passo in avanti verso politiche comuni coraggiose, liste transnazionali, esercito e diplomazia comuni. Meno Europa, come vorrebbe Salvini, non significa più Italia. Significa più Cina e più Russia».

È sempre dell'idea che le riforme sul premierato e sull'autonomia di questo governo non passeranno?

«Io sono favorevole all'elezione diretta del premier come a quella del presidente della Commissione europea. Il problema è che la riforma Casellati non si regge in piedi: è un testo senza equilibrio e senza coraggio. In Senato l'altro ieri ho lanciato una provocazione: proponete il semipresidenzialismo alla francese. Ma la verità è che mancano di prospettiva e cultura riformista. Quanto all'Autonomia, è una bandierina lo ribadisco. Non si farà, non riescono ad andare oltre gli annunci. Direi per fortuna, da un lato. Dall'altro è incredibile come in oltre un anno e mezzo di governo siano riusciti a produrre solo misure spot, dal decreto Rave al decreto Ferragni»

Su quali riforme darebbe una mano al governo? La giustizia?

«Noi degli Stati Uniti d'Europa abbiamo il garantismo nel dna. Fra i nostri capilista ci sono figure come Gian Domenico Caiazza, che fu avvocato di Enzo Tortora e Rita Bernardini, una vita spesa nella difesa dei diritti dei reclusi. Sulla riforma della giustizia è ovvio che ci saremmo e siamo d'accordo con il via libera alla separazione delle carriere. Il punto è: si farà? Perché finora abbiamo sentito solo annunci. E se permette, iniziamo a dubitare che si concretizzino».

Per le Europee sta polarizzando lo scontro contro Fi: perché? Per un eventuale bis alla von Der Leyen sponsorizzato dal Ppe?

«Ursula von der Leyen ha fallito su tutti i fronti. Dalla politica estera, dove ha reso l'Europa ininfluente, al green deal. Un vero e proprio disastro che non produce risultati in termini di lotta al cambiamento climatico ma che ha penalizzato le nostre imprese e i nostri posti di lavoro, facendo un regalo ai Paesi come India e Cina. Forza Italia un tempo era dalla parte delle imprese ora sta dalla parte di von der Leyen che ha voluto il green deal. Noi, al contrario, faremo di tutto per provare a portare alla guida della Commissione Mario Draghi. Chi vota Forza Italia vota Ursula von der Leyen, chi vota Stati Uniti d'Europa vota Draghi».

II problema del voto di giugno sarà anche l'astensionismo, specie al Sud: come si combatte?

«L'astensionismo è la malattia delle democrazie contemporanee. Le ragioni sono molte: certo, la disillusione. I populismi che hanno fomentato l'antipolitica, senza dare risposte. Credo però che al di là della retorica ci siano fattori ineludibili: da un lato il crollo delle ideologie. E poi, il grande tema della spesa pubblica: la coperta è corta, le risposte più complesse da dare. Eppure continuo a pensare che si possa ancora far innamorare le persone della politica. Il mio appello a chi pensa di non andare a votare non è tanto quello di scrivere il nome Renzi sulla scheda. Chi vorrà farlo, lo farà. È quello di scegliere un simbolo che dà una prospettiva di futuro ai nostri figli. E avere la garanzia che, a differenza di Tajani, Meloni, Schlein, i candidati della lista Stati Uniti d'Europa se eletti andranno a Strasburgo».

Le armi a Kiev dovrebbero essere usate anche contro la Russia?

«L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è stata un atto criminale. Per questo fin da subito abbiamo detto sì alle armi a Kiev, sì alle sanzioni a Mosca. Parallelamente, abbiamo chiesto per primi che fosse nominato un inviato speciale per la diplomazia. Un leader come Tony Blair o Angela Merkel. Accanto alle armi, serve la politica. Non servono escalation ma ritengo che sia anche sbagliato usare la pace come una bandierina, un hashtag elettorale come fa Giuseppe Conte. La pace deve essere una pace giusta. Non può tradursi nella resa dell'Ucraina».

Intanto la politica dibatte sullo scontro Meloni-De Luca.

«Giorgia Meloni ha dimostrato di essere ancora una volta una perfetta influencer. Lo scontro era chiaramente preparato, a portata di telecamera dello staff della premier. A Giorgia Meloni dico: esca dalla campagna elettorale costante, dallo scontro istituzionale e pensi lavorare per il Mezzogiorno».