Renzi: "Né morire di virus, né di fame. Prepariamoci a ricostruire la Toscana"

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Intervista di Paolo Ceccarelli, "Corriere Fiorentino", 25 marzo 2020.  

«Ora è il momento di stringere i denti. Ma la politica deve anche iniziare a costruire la Toscana del post-coronavirus: o lo facciamo adesso o perderemo una grande opportunità, perché dopo questa crisi ci può aspettare un nuovo rinascimento». Matteo Renzi è a casa («e dove sennò?»), legge agenzie di stampa e sms («C'è un aggiornamento da parte di Borrelli?»), e si prepara al dibattito di domani in Senato.

Senatore Renzi, come valuta il decreto legge del governo che dà alle Regioni il potere di adottare misure più restrittive ma con il placet di Palazzo Chigi?
«Serve una premessa: soprattutto su questioni così serie, bisogna abituarsi a giudicare i testi dopo che sono pubblicati e non prima. Il caos normativo è da evitare sempre, in un'emergenza del genere ancora di più. Detto questo, c'è un punto che torna in evidenza: la questione del Titolo V. Piaccia o non piaccia, il benedetto referendum del 2016 affrontava esattamente il nodo del rapporto tra Stato e Regioni. È antipatico dirlo? Forse, ma non si può negare la realtà».

Tutti dicono: bisogna tenere insieme lavoro e salute. Ma sulla chiusura o meno delle fabbriche è in corso un duro scontro tra imprese e sindacati. Al di là delle frasi di circostanza, in un'emergenza del genere la difesa della salute e la tutela delle aziende sono inconciliabili?
«Le cassiere dei supermercati vanno a lavorare, così come i carabinieri, gli idraulici, per non dire dei medici e degli infermieri. Quindi non ha senso dire che salute e lavoro sono "inconciliabili": il punto è come conciliarli. Perché io non voglio morire di Covid-19 ma neanche di fame. Oggi Goldman Sachs dice che l'Italia perderà n punti di Pil. Un equilibrio va trovato per forza, anche perché io penso che noi avremo a che fare con questo virus ancora per un anno, quando come noi tutti ci auguriamo il vaccino inizierà a produrre i suoi effetti. Ed è impensabile stare chiusi in casa dodici mesi e campare di pane, amore e fantasia...».

Come giudica lo sciopero generale indetto per oggi dai sindacati?
«Il sindacato fa il suo mestiere e io ho rinunciato da tempo a giudicarlo. C'è un principio generale però: le regole si rispettano. E se le attuali norme prevedono che alcune industrie stiano aperte, le si rispetta. In questo clima occorre che ognuno di noi faccia ogni sforzo per rispettare le regole. E va detto che gli italiani sono bravissimi: è da 15 giorni che siamo chiusi in casa e stanno tenendo i nervi saldi».

Ma non è stato un errore rimettere mano in corsa all'elenco delle aziende che potevano restare aperte? I lavoratori della Leonardo di Campi, per fare un esempio, sono andati a letto sabato sera sapendo che il lunedì sarebbero dovuti restare a casa e poi durante la giornata di domenica è stato deciso il contrario...
«Che la comunicazione istituzionale non sia stata brillantissima sono stato il primo a dirlo. Per questo ho suggerito al presidente del Consiglio di gestire la comunicazione in un modo più improntato alla delicatezza che comporta un'emergenza come questa e meno al Grande Fratello».

Il presidente di Confindustria Firenze Fabrizio Monsani auspica un commissario straordinario per la ricostruzione dell'economia regionale dopo la fine dell'emergenza sanitaria. Che ne pensa?
«Distinguiamo. Benissimo il commissario per le opere pubbliche. Mi pare invece un po' esagerato il commissariamento della politica. Voglio dire che per gestire i fondi europei non serve un commissario ma un presidente della Regione. Si chiama democrazia: esercizio faticoso ma essenziale. È per questo che io non rinvierei troppo in là le elezioni regionali».

Vorrebbe votare a luglio, massimo a settembre?
«Vediamo come evolve la questione sanitaria, quella è la priorità ora. Ma alle urne bisogna andare il prima possibile, anche perché questa idea che non si voti è un po' antipatica. Non ho difficoltà a dire che il governatore e l'assessore Stefania Saccardi stanno facendo un lavoro straordinario e che noi tutti dobbiamo dare loro una mano».

Secondo lei il coronavirus cambierà anche il quadro politico nazionale e toscano?
«Di più. Dopo il coronavirus ci sarà proprio un altro mondo a livello europeo e internazionale».

Volo più basso: Eugenio Giani, a differenza di Rossi, non si è mai occupato direttamente di sanità. Non è che questa emergenza complicherà la sua corsa a governatore?
«Sinceramente penso di no».

Ma lei come se la immagina la ricostruzione e la Toscana post-virus?
«Quello che ci aspetta nel breve periodo è purtroppo un vero e proprio disastro economico. Ma oltre questa crisi gravissima c'è una gigantesca opportunità per i toscani e per la Toscana. Ma per coglierla dobbiamo iniziare a pensare il futuro post-coronavirus ora, non tra un anno. Faccio qualche esempio concreto. Io mi immagino che FidiToscana possa essere trasformata in uno strumento più proattivo, con poteri di intervento più diretti, per sostenere i settori dell'economia che saranno più colpiti dal blocco causato dal virus. E il sistema bancario toscano, i cui principali player sono Intesa San Paolo e Mps, dovranno fare un grande lavoro sul fronte dell'accesso al credito. Ancora: finita la tempesta, finite le limitazioni alla mobilità delle persone, sarà ancora più urgente sbloccare le opere pubbliche...».

Come il potenziamento dell'aeroporto di Peretola, che però poco prima dell'esplosione in Italia dell'epidemia è stato bocciato dal Consiglio di Stato...
«No, non mi riferisco solo a Peretola. Penso alla pista parallela, certo, ma anche alla realizzazione della Tirrenica, al potenziamento della Firenze-Mare, al completamento della Due Mari. E poi c'è un altro tema fondamentale troppo spesso sottovalutato: la banda larga. Io sono quello che veniva preso in giro: "Ecco il fissato di Internet, pensa di risolvere i problemi con un clic...". Eccoci qua: in questa emergenza abbiamo visto quanto sia centrale un'infrastruttura digitale degna di questo nome. Detto in termini più chiari: serve il 5G. Ovunque. Per tutti. Anche perché i tanti che oggi lavorano in smart working non torneranno subito tutti in ufficio».

Prima di tutto questo, però, c'è l'oggi. E oggi moltissime imprese, soprattutto quelle piccole e medie, rischiano di non reggere.
«Vero. Oggi abbiamo due priorità: quella sanitaria, curare i malati e sostenere le loro famiglie, e quella economica, e cioè fare di tutto perché le aziende non vadano a capitombolo. La prima cosa da fare è rinviare tutte le scadenze che incombono sulle Pmi».

Sì, ma come?
«È molto semplice. Lo Stato e le banche devono rinviare il pagamento delle imposte e delle rate dei mutui. Punto. Oggi un imprenditore, ma anche un cittadino che fa l'impiegato, non può pagare. Detto tutto questo, sono convinto che il dopo-emergenza vada costruito da subito. Perché saremo davvero in un altro mondo, a cui forse ora non siamo preparati».

Che vuole dire?
«Oggi stiamo guardando il trailer del film "Cosa succederebbe in un mondo governato dai novax e dai sovranisti". La risposta è che la gente si ammalerebbe e i sani dovrebbero stare chiusi in casa. Ma io credo che il grande spavento di oggi ci spingerà esattamente nella direzione opposta. Ad esempio saremo più vicini agli Stati Uniti d'Europa che al modello sovranista».

E la paura di oggi dove porterà la Firenze di domani?
«Lei si ricorda tutti quelli che dicevano "ma speriamo che tutti questi turisti vadano via"? Ecco, ora possono ammirare, si fa per dire, cosa significa l'applicazione letterale del loro desiderio. E credo che cambieranno un po' idea. Ci stiamo accorgendo ora di quanta economia e di quanta cultura muovono gli studenti americani che vengono a studiare qui. Ai fiorentini dico: nel 1348 Firenze fu massacrata dalla peste, ma dopo il disastro iniziò il percorso che portò al Rinascimento. Anche oggi la strada è difficilissima. Ma stringiamo i denti e andiamo avanti. Quando ne usciremo, potremo costruire un nuovo rinascimento».