Renzi: "Il Terzo Polo c'è già. Con noi si porta in Parlamento la competenza"

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Intervista di Niccolò Carratelli, “la Stampa”,  11 agosto 2022.

Matteo Renzi cerca faticosamente di tenere un basso profilo. Spiega che oggi si vedrà con Carlo Calenda per chiudere l'accordo e correre insieme alle elezioni: «Se c'è un progetto politico, sono pronto a fare un passo indietro — assicura — Carlo può fare il front runner in campagna elettorale e noi gli daremo una mano». In comune, tra le altre cose, hanno quella di aver fregato Enrico Letta, ma «ormai è chiaro che lui si frega da solo», attacca il leader di Italia Viva, spietato nel giudizio sulla strategia del segretario del Pd: «Ha fatto una frittata, è il miglior amico di Giorgia Meloni».

Intervistato dal direttore de La Stampa, Massimo Giannini, per la trasmissione "30 minuti al Massimo", l'ex premier si dice convinto che «il terzo polo può prendere voti sia a Forza Italia che al Pd» e che, «con un buon risultato al proporzionale, poi possiamo essere decisivi in Parlamento per far tornare Mario Draghi». E pazienza se gli ultimi sondaggi non sono proprio positivi per la strana coppia, perché «se Berlusconi, che con i dati è il più avanti di tutti, ha iniziato ad attaccare me e Calenda, vuol dire che ci teme».

Quindi, possiamo dire che il terzo polo ci sarà?
«Il terzo polo c'è già, la domanda è se riusciremo a costruirlo in modo serio e con la compagine più ampia possibile».

Ci riuscite?
«Guardi, visto il teatrino deludente di queste settimane, dal quale sono orgoglioso di essere restato fuori, se vogliamo fare un accordo deve essere diverso, all'insegna della competenza, rifiutando le banalizzazioni».

Ancora non siete d'accordo su liste e candidature?
«Quella è la cosa più facile, ma bisogna capire bene qual è la prospettiva fino al 25 settembre e anche dopo. Se vogliamo costruire un polo del buon senso, che possa incidere nella prossima legislatura. Se riusciamo, facciamo un servizio al Paese».

Ma alla fine chi comanda? Lui, lei, l'altra?
«Così sembra Beautiful e l'hanno già fatto gli altri partiti. La leadership è la scelta finale, per me prima viene il progetto politico. Poi uno di noi farà un passo indietro. O entrambi. Io non ho problemi, Carlo può essere il nostro front runner in campagna elettorale, basta mettersi d'accordo su come impostarla, poi gli diamo tutti una mano. Ma, ripeto, nomina sunt consequentia rerum. È latino, lo dico per Toninelli, che mi mancherà in Parlamento».

Lei sostiene che con Calenda farete il botto, ma gli ultimi sondaggi vi danno al 2%, massimo al 4%. Vi state illudendo?
«Guardare i sondaggi è l'ultima cosa che faccio prima di prendere una decisione, altrimenti avevamo Conte ancora premier e Draghi pensionato a Città della Pieve. Ma, in realtà, molti sondaggisti vedono uno spazio per il terzo polo».

Crede anche lei, come Calenda, alla doppia cifra?
«La doppia cifra è sicura, il problema è se in mezzo ci sarà la virgola, io sono sempre contro le virgole. Comunque, basta guardare Berlusconi, che con i dati è sempre avanti e, infatti, ha iniziato ad attaccare me e Calenda. Se ci teme, vuol dire che si rende conto che possiamo portargli via i voti moderati».

Berlusconi le aveva detto che per fare il centro doveva allearsi con lui...
«Se lui avesse voluto fare il grande centro, non avrebbe dovuto far cadere Draghi per seguire Salvini e Meloni».

Comunque, secondo il sottosegretario M5s Carlo Sibilia, sarete la coalizione più antipatica d'Italia, lo sa?
«Non so se Sibilia racconti le barzellette meglio di me o di Carlo, ma so che con noi si porta in Parlamento la competenza. Noi non crediamo, come Sibilia, che gli americani non siano mai sbarcati sulla Luna».

Mentre per Enrico Letta farete vincere la destra. Come risponde?
«Che, in un mondo normale, Letta avrebbe avuto tutto l'interesse a fare l'alleanza con il Movimento 5 stelle e a favorire la nascita di un polo di centro, capace di portare via voti a Forza Italia, per avere collegi più contendibili. Invece, ha fatto una frittata. E ammetto che mi sono venuti i brividi quando ho visto Luigi Di Maio entrare al Nazareno».

Addirittura?
«Uno che, quando ero segretario, ha detto che avevamo le mani sporche di petrolio e di sangue e, in seguito, che rubavamo i bambini a Bibbiano. Qui non c'è un problema di coerenza, ma di dignità».

Ma, secondo lei, cosa avrebbe dovuto fare Letta?
«Aveva tre strade. La prima era un grande accordo repubblicano e lì, lo dico prendendo un Maalox, avrebbe dovuto fare un accordo con Conte, perché i 5 stelle al Sud hanno ancora una sacca di consenso importante. Seconda possibilità, presentarsi agli elettori nel nome di Draghi, unendo tutti quelli che lo rivorrebbero a Palazzo Chigi, ma lui ha messo il veto su di noi. Terza ipotesi, andare da solo come Pd e puntare a diventare il primo partito. Lui ha fatto un casino. Sapevo che è amico della Meloni, ma non fino a questo punto».

E, quindi, vince la destra?
«No, credo che la partita sia aperta, nonostante Letta abbia fatto di tutto per chiuderla. Ha pure cominciato la campagna elettorale prospettando un aumento delle tasse. Un grande regalo a Berlusconi, che ora credo lo consideri il suo Letta preferito, al posto di Gianni».

Tra l'altro, lei e Calenda avete in comune il fatto di aver fregato Letta, no?
«Credo che ormai tutti abbiano capito la verità, cioè che Letta si frega da solo».

Comunque, secondo l'Istituto Cattaneo, con la nascita del terzo polo il centrodestra vince 6 collegi in più al Senato e 20 in più alla Camera...
«Allora, delle due l'una, o non contiamo niente e siamo un centrino, oppure siamo decisivi. Io penso che, se riusciamo a fare un bel risultato sul proporzionale, poi si apre la strada in Parlamento per tornare su Mario Draghi come presidente del Consiglio. Del resto, chi preferireste al tavolo europeo a discutere della riforma del patto di stabilità: Meloni o Draghi? Risposta facile».

Quindi, puntate a una non vittoria della destra per ricreare le condizioni per una maggioranza Ursula. Corretto?
«Si sta allargando molto, anche perché la destra ha fatto un accordo per restare comunque insieme. L'obiettivo di breve periodo è riavere Draghi, quello di medio periodo è mettere in sicurezza il Paese a livello economico. Nel lungo periodo, vorrei formare una grande casa liberaldemocratica, che possa giocare bene la partita delle prossime Europee».

Ma con Draghi ci ha parlato? A me risulta che lui non ne voglia sapere.
«In questo anno e mezzo non è mai uscita una notizia di un mio incontro con Draghi. Ha mai letto di una mia telefonata con Draghi? No, perché non ci sentiamo».

Suvvia, lo ha voluto lei, è stato lei il king maker...
«Lo ha chiamato Mattarella».

Lei è il Jep Gambardella della politica italiana.
«Non mi piace partecipare alle feste, mi piace farle fallire».

Voi state un po' usando Draghi come una coperta di Linus. Lo sa che l'agenda Draghi non esiste, vero?
«Non venga a dire a me che uso Draghi: mi hanno accusato di averlo portato al governo per guadagnare poltrone, mentre nel cambio ho perso una ministra. L'agenda Draghi, nel merito, è Europa e non sovranismo, è creazione di posti di lavoro eliminando la cultura del sussidio, è ambiente, quando sento dire che non si può fare il termovalorizzatore a Roma e poi vedo uno zoo con il festival dei cinghiali».

Ma rievocare Draghi non è l'ennesima sconfitta della politica, che si inginocchia di fronte al tecnico?
«Io ritengo l'arrivo di Draghi non la debacle, ma il trionfo della politica. Portare lui e mandare a casa Conte è stata l'operazione più politica che ho fatto. Politica con la P maiuscola».

Quella con Calenda, invece, che operazione è?
«Se saremo bravi, prenderemo voti sia a Forza Italia che al Pd: i moderati che non vogliono votare Meloni e i riformisti che non vogliono votare Di Maio. Potremmo spostare gli equilibri e ritrovarci a essere decisivi in Parlamento, anche se magari non subito numericamente. E noi in Parlamento ci sappiamo stare».

Lei crede che Giorgia Meloni premier possa rappresentare un rischio per la democrazia?
«No, se vince la destra in pericolo non sarà la nostra Costituzione, ma le casse dello Stato. La fiat tax sarebbe una follia, anche se buona per il mio portafoglio. Ma, a mio giudizio, la riforma della Costituzione va fatta».

Quale riforma? Il presidenzialismo che vuole il centrodestra?
«Secondo me, la necessità dell'elezione diretta c'è, ma non del presidente della Repubblica, bensì di quello del Consiglio. Nell'epoca dei social, l'elezione diretta del capo del governo è necessaria. Una sola cosa chiedo a tutti, da Meloni a Letta: prendiamo un impegno perché la riforma costituzionale si faccia insieme».

Lei, in tema di riforma costituzionale, ha una certa esperienza...
«La mia riforma costituzionale è fallita perché, e me ne prendo la colpa, all'inizio era condivisa, nell'ambito del patto del Nazareno, poi col passare dei mesi è diventata di uno solo. Se non avessi perso il referendum, l'Italia ora starebbe meglio, ma quando i cittadini decidono ci si inchina e si va avanti. Sarà così anche stavolta».