Enews 1003 lunedì 9 dicembre 2024
La cerimonia con cui la Francia ha riconsegnato Notre-Dame al mondo è stata secondo me bellissima. Costruire una cattedrale era una scelta coraggiosa e nobile: chi metteva la prima pietra non vedeva la fine. E ciò rendeva ancora più bello il senso di un gesto fatto per le generazioni successive: anche la politica dovrebbe fare così, ma troppo spesso si impantana sul giorno dopo giorno. Costruire una cattedrale significava scegliere progetti ambiziosi e non vivacchiare; significava trovare risorse per l’oggi e per il domani e non sperperare; significava tenere insieme il sogno e la concretezza e non chiacchierare. Per questo chi di noi è cresciuto magari leggendo Claudel o Peguy o Luzi pensa che la costruzione della cattedrale sia uno dei gesti più straordinari che caratterizzano magnificamente il Medioevo, mettendo al centro la domanda di infinito e il gusto del bello.
Pensare alla ricostruzione di Notre-Dame in questi cinque anni dopo il terribile incendio, allora, ha voluto dire questo e molto altro. E non solo per i cattolici, sia chiaro. È un simbolo universale di valori e di cultura, cui giustamente il laico Macron – pure in un momento di grande difficoltà politica – ha voluto dedicare molta attenzione. E la gestione del cerimoniale dell’evento è stata oggettivamente di alto livello, a cominciare dalla presenza di Trump.
Che la (ri)costruzione della cattedrale francese ispiri l’intera politica europea ad avere progetti ambiziosi, ma realizzabili. A pensare al domani ma cominciando subito. A costruire il bello senza mediocrità.
Certo, fa male pensare al fatto che ricostruire la cattedrale costerà al contribuente francese meno di quanto costerà al contribuente italiano la costruzione del centro migranti in Albania. Centro inutile, dal quale comprensibilmente gli agenti cercano di uscire come dimostra questo servizio della tv albanese. Non lusinghiero invero sulle capacità di spesa intelligente del contribuente italiano: chiunque veda quel servizio penserà che in Italia siamo impazziti.
Ho tentato di dire la mia in Aula, la scorsa settimana, in questo intervento che trovate integrale su YouTube.
Se avete dieci minuti vi prego di ascoltarlo e dirmi che cosa condividete e che cosa no: so che dieci minuti non sono pochi, ma dobbiamo sforzarci di discutere di cose serie senza l’ansia dello slogan o della frase facile.
Abbiamo comunque pubblicato due brevi video, due reels, su Instagram per chi ha meno tempo: uno sull’Albania e uno sul carovita, tratto dalla partecipazione alla trasmissione di Del Debbio.
Dicevamo di Trump a Parigi. Nel bilaterale organizzato con Macron, il Presidente eletto degli USA ha detto: "il mondo sta diventando un po’ pazzo". Difficile dargli torto. Per tanti motivi, si capisce. Pensate soltanto a quello che è accaduto in Corea del Sud: il Presidente in carica, preoccupato per la propria crisi e anche – si dice – per una contestazione penale alla moglie (che avrebbe ricevuto regali in violazione delle regole vigenti), ha tentato il colpo di stato attraverso la legge marziale. Si tratta di un colpo di stato che ha prodotto come conseguenza la sua fine politica, un autocolpo di stato potremmo dire. È questione di giorni, io penso: uno del genere non può restare lì a lungo. Ma la follia di ciò che è accaduto in Corea del Sud dà il senso della maionese impazzita che è ormai la politica in varie parti del mondo.
Più grave e drammatica la situazione siriana. Ne avevo parlato ad Avvenire qualche giorno fa. E avevo messo in guardia dal racconto: Assad è in esilio, evviva, la dittatura è finita. La storia araba dimostra che quando cade un dittatore (e Assad è stato chiaramente un dittatore, feroce dittatore in alcuni momenti) non è detto che le cose si sistemino da sole. Non c’è sempre la democrazia dopo la dittatura. Il leader sunnita che guida la rivolta, Al-Jolani, è un soggettino un po’ particolare eh: faceva parte – in buona sostanza – delle brigate dell’ISIS, non è che viene da Georgetown o da un’elezione democratica. Il rischio di cadere dalla padella di Assad, Russia, Iran, Hezbollah alla brace degli ex di Al Qaeda e Daesh non è un rischio teorico, ma una concreta possibilità. Può darsi che la fine del regime di Assad sia un passo in avanti verso la pace in Medio Oriente e sicuramente segna un indebolimento dell’Iran. Ma starei prudente nelle letture entusiaste che ho sentito in queste ore. La situazione è maledettamente ingarbugliata in quel magnifico e devastato Paese. E quanto sarebbe bello se l’Italia prendesse un’iniziativa a sostegno dei siriani, a cominciare dai martoriati cittadini di Aleppo con particolare attenzione alla minoranza cristiana, passata da 2 milioni a mezzo milione di aderenti. Anche dei cristiani della Siria ho parlato nell’intervento in Senato.
Per chi ha piacere di ascoltare gli interventi in Senato, do appuntamento alla settimana prossima quando interverrò sull’Europa con Giorgia Meloni (18 dicembre) e poi sulla Legge di Bilancio.
Invece ricordo a tutti l’appuntamento dell’11 gennaio al Teatro Cartiere Carrara, a Firenze.
Volendo, ci si può iscrivere qui. Ma l’ingresso è libero, la pappa col pomodoro è per tutti e le sorprese non mancheranno.
Un sorriso,
Matteo
PS. Mentre scrivo alzo gli occhi e vedo una nube sul cielo di Firenze e poi arriva la notizia della drammatica esplosione di Calenzano. Ne sappiamo poco, per adesso. Il pensiero adesso va soprattutto alle vittime e ai feriti e la gratitudine alla macchina dei soccorsi.